Magistrato in Sicilia? Esperienza bellissima

Michele Barillaro, nasce a Reggio Calabria il 1967, ed è attualmente magistrato di Corte d’Appello. Dal 1996 al 2006 è stato giudice del Tribunale di Nicosia (Enna) e consigliere applicato Corte Assise Appello Caltanissetta. Attualmente è giudice presso il Tribunale di Firenze. Ha redatto, tra le altre la sentenza nel processo a Mariano Agate e altri 26 imputati nel Borsellino ter relativo alla strage di via d’Amelio e la sentenza 10/03 nel processo a Totò Riina e ad altri sei imputati relativo all’attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone. E’ stato proposto come Encomio dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, ha ricevuto il premio Internazionale Memorial “Rosario Livatino” ed il premio Internazionale “Pro bono iustitiae”.

 

Lei ha pubblicato di recente un libro che probabilmente sarà presentato a Roma alla Camera dei Deputati. Ce ne parla?

 

“Il libro s’intitola ‘L’associazione mafiosa’ ed è edito da Giuffrè nella collana Teoria e pratica del diritto. La prefazione è scritta dall’ex procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna. Si tratta di un saggio che vuole coniugare, in sintesi, l’esperienza siciliana e la conoscenza di cosa nostra con le nuove dinamiche mafiose legate sia alle etnie oggi presenti sul territorio – in particolar modo quella cinese – sia al rapporto tra questa figura ed istituti di recente applicazione quali la responsabilità da reato delle persone giuridiche o il trust”.

 

In una sua precedente pubblicazione, ‘Crimine organizzato e sfruttamento delle risorse territoriali’, di cosa si parla?

 

“La pubblicazione mirava con particolare attenzione ai temi della criminalità economica, del riciclaggio e reimpiego dei profitti illeciti, e nasce dopo un confronto con i procuratori della Repubblica della Sicilia sulle diverse modalità di aggressione dei patrimoni nelle province siciliane”.

 

In ‘Terrorismo e crimini controllo Stato’, altro suo libro che temi affronta?

 

“Il volume approfondisce gli strumenti legislativi vigenti, dedicati all’azione di contrasto alle diverse forme di terrorismo ed alle forme criminali associative mirate all’eversione ai danni dello Stato”.

 

Per restare in tema di scrittura quale è il libro che ha segnato la sua esistenza?

 

“Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: uno spaccato di storia della ‘nostra’ cultura del meridione d’Italia”.

 

Cosa vuol dire per Lei essere un magistrato?

 

“Semplice: vuol dire essere un privilegiato per diverse ragioni, ma soprattutto per poter esercitare in libertà, sottoposto soltanto alla legge, il principio di autonomia intellettuale”.

 

Qual è l’esperienza che la ha caratterizzato di più?

 

“Certamente i dieci anni siciliani. Un ambiente entusiasmante che, come una sorta di Araba Fenice, sapeva sprigionare energia produttiva, efficienza, entusiasmo e coraggio dalle ceneri di una realtà martoriata”.

 

Lei si è più volte occupato anche di mafia.

 

“Sono stato estensore di numerose sentenze per vicende di mafia, anche eclatanti. Fra tutte mi piace ricordare quella emessa nei confronti di 27 soggetti imputati in qualità di mandanti per la strage di via d’Amelio in danno di Paolo Borsellino che, con orgoglio, posso dire unica, oggi, a sopravvivere tra le varie pronunce per quei fatti sottoposte a revisione, e quella nei confronti di Riina ed altri per il fallito l’attentato dell’Addaura in danno di Giovanni Falcone”.

 

Lei è una toga bianca, nera o rossa?

 

“Posso essere presuntuoso? Sono una toga…trasparente”.

 

Il suo dolore più grande che ha conosciuto nel corso della sua attività?

 

“La morte di un amico, commissario di Polizia, otto anni or sono”.

 

 

Se dovesse descrivere il suo carattere?

 

“L’entusiasmo che talvolta sfocia nell’impulsività”.

 

Si porta dietro rimpianti?

 

“Nessuno”.

 

E’ un amante degli animali?

 

“Ho una grande passione per la caccia in montagna e la biologia della selvaggina. Credo fermamente nel ruolo di un cacciatore moderno, preparato culturalmente, parte attiva nella conservazione e nella gestione di fauna e ambiente”.

 

Il sogno che vorrebbe realizzare?

 

“Dirigere, un giorno, un ufficio giudiziario calabrese o siciliano circondato da giovani colleghi con cui dividere l’entusiasmo per questo straordinario lavoro”.

 

 

Roberto Cristiano

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