A Palermo, alla fine, Salvatore Profeta c’è tornato, ma dentro a una bara partita dal Friuli. E a salutarlo, questa volta, ci saranno solo parenti e pochi intimi. Vietati, infatti, dalla questura i funerali pubblici per il boss della Guadagna, per anni in regime di 41 bis con l’accusa di aver avuto un ruolo nella strage di via D’Amelio, dopo essere stato tirato in ballo dal cognato, il finto pentito Vincenzo Scarantino. Era tornato libero nel 2011, dopo che Gaspare Spatuzza aveva raccontato di essere stato lui l’autore materiale del furto della 126 fatta esplodere il 19 luglio ’92. Furto che, all’inizio della sua collaborazione, Scarantino si era falsamente attribuito, raccontando che a commissionarglielo fosse stato proprio il cognato Salvatore Profeta.
Tornato a circolare per le vie della Guadagna, dove in molti lo hanno descritto come «un galantuomo» accogliendolo con entusiasmo e festeggiamenti, non aveva perso tempo a rivestire nuovamente i panni del boss. Motivo che gli vale, a novembre 2015, l’ennesimo arresto in pieno notte con la gente del quartiere scesa in strada per salutarlo e, a distanza di un anno, la condanna in abbreviato a otto anni di carcere per associazione mafiosa da scontare nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo. Poi il malore, i dieci giorni di ricovero e la morte a 73 anni mercoledì scorso. La salma è arrivata ieri sera all’aeroporto di Punta Raisi e questa mattina è stata tumulata, alla presenza dei famigliari, nel cimitero di Sant’Orsola con una cerimonia privata.
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