Mafia, una testa d’agnello per Saro Puglia L’imprenditore: «Sono solo, ma vado avanti»

«Volevano impossessarsi della mia azienda. Non ci sono riusciti e adesso vogliono distruggerla. Ma io non sono ricattabile. Non ho famiglia e se vogliono fare qualcosa a me personalmente, sanno che non ho timore. Si vive e si muore una volta sola. Meglio da leoni». A parlare è Rosario Puglia, imprenditore vinicolo di Linguaglossa, da anni vittima di intimidazioni mafiose.

Ieri mattina un’altra minaccia per lui e la sua azienda Cantine Don Saro srl. La scritta «Cornuto morte» per i corridoi dei locali, la testa mozzata di un agnello e un coniglio sventrato sono state trovate in azienda. «Hanno forzato i cancelli, sono entrati e hanno fatto quello che dovevano. Poi hanno smontato e portato via gli strumenti di videosorveglianza che avevano ripreso tutto».

E proprio da messaggi come questi che parte la battaglia di Puglia, con la prima denuncia nel 2008. «Nel tempo si sono susseguite altre piccole avvisaglie da parte di queste persone, intensificatesi nell’ultimo anno. Hanno lasciato delle scritte di minaccia sulle insegne della Cantina. Hanno ammazzato i cani e tentato di fare del male anche a me. Lo scorso aprile – racconta l’imprenditore – mi volevano buttare fuori strada, speronandomi con la macchina».

Denunce su denunce da parte dell’imprenditore ma attorno a lui il silenzio. «Mi hanno lasciato solo – lamenta rammaricato – In paese non mi saluta più nessuno. Linguaglossa non accetta che io mi sia ribellato ai miei estorsori. Nemmeno le istituzioni mi sono vicine». La scorsa settimana, però, era arrivata una nota positiva in favore dell’imprenditore. Il rinvio a giudizio dei suoi presunti estorsori – Giovanni D’Urso, Salvatore Arrabito, Mario La Spina e Giuseppe Marzà – da parte del Gup Laura Benanti. 

Ma, viste le ultime intimidazioni, evidentemente non è servito. E l’imprenditore, preoccupato per le sorti della Cantina, intanto chiede maggiore protezione. «Vogliono mandarmi sul lastrico. Mi hanno fatto terra bruciata intorno, soprattutto con i ristoranti intimandogli di non rifornirsi più da me. Io però non ho intenzione di chiudere. Non abbandono la nave che affonda anche se l’azienda va molto a rilento – commenta Puglia – Ammetto che fino a qualche giorno fa ero abbastanza sfiduciato. Ma adesso, dopo queste minacce, mi sono incaponito ancora di più. Non posso lasciare che l’abbiano vinta loro». E lancia un appello: «Mi auguro, però, di avere il sostegno e la protezione adeguata».

Protezione che finora è mancata, o quasi. A seguito delle numerose intimidazioni, infatti, nell’ultimo anno le Cantine di Don Saro sono state soggette a controlli di sorveglianza saltuari. «Ma non è servito a nulla – lamenta l’imprenditore – Servirebbe un controllo continuo», dice. Intanto, dopo aver forzato i cancelli, stanotte le cantine sono rimaste aperte e incustodite. «Non posso mica mandare i miei dipendenti a fare la guardia. Temo che possano fare ulteriori danni. Ma al momento non mi hanno assegnato nessun altro tipo di protezione». Anche stavolta lo hanno lasciato da solo.

 

[Foto di Don Saro]

Federica Motta

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