Interessi nel settore della ristorazione e in quello della fabbricazione di imballaggi in legno, business creati e foraggiati dalla forza derivante dall’essere al capo del clan mafioso Trigila. Antonio Giuseppe Trigila, 67enne ergastolano conosciuto come Pinnintula, e il fratello Gianfranco, 44enne arrestato a settembre 2016 insieme alla cognata Nunziatina Bianca nell’ambito dell’operazione Ultimo Atto, sono i destinatari del sequestro di beni disposto dal tribunale di Catania su richiesta della Dia e della procura etnea.
I sigilli sono stati posti a due società – una delle quali intestata al genero di Trigila – cinque immobili e altrettanti mezzi di trasporto, oltre a diversi conti correnti bancari. Nel complesso il valore dei beni congelati dall’autorità giudiziaria ammonta a circa un milione di euro.
I Trigila sono una cosca che opera in sinergia al clan Nardo, a sua volta legato a doppio filo con la famiglia mafiosa dei Santapaola. Pinnintula ha condanne per traffico illecito di sostanze stupefacenti, acquisto detenzione e vendita illeciti di sostanze stupefacenti, riciclaggio, estorsione in danno di esercizi commerciali, omicidio, porto illegale di armi e furto. Dalle indagini portate avanti dalla Direzione investigativa antimafia è emerso che l’uomo dall’interno del carcere continuava a gestire gli affari del clan.
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