Mafia, relazione della Dna su Cosa nostra palermitana «Sopravvive struttura piramidale, anche senza leader»

Nessuna camorrizzazione, Cosa nostra resta un’organizzazione verticistica e piramidale, anche a Palermo, nonostante negli anni sia stata falcidiata dagli arresti dei leader più carismatici. Si punta, per la guida dei mandamenti, su personaggi con alle spalle un lungo vissuto criminale, magari non di primissimo piano ma che, già coinvolti in vicende giudiziarie, sono ritornati liberi e sono disponibili a ricoprire ruoli di vertice. Queste, in sintesi, le conclusioni salienti contenute nella relazione della Dna sullo stato della criminalità organizzata per quel che concerne il capoluogo siciliano. «Mancano, in Cosa Nostra palermitana – si legge nel documento – personaggi di particolare carisma criminale liberi, seppure latitanti. Dopo una breve fase durante la quale nei territori più colpiti dalle operazioni di polizia giudiziaria si ritrovavano ad operare esponenti di altre famiglie – continua la relazione -, quasi svolgendo una funzione vicaria degli assenti e con un superamento di fatto del tradizionale, strettissimo, legame dei mafiosi con il territorio, si assiste oggi, in molti mandamenti, al ritorno in scena di personaggi già coinvolti in vicende giudiziarie che, noti in passato come figure non di primissimo piano negli organigrammi mafiosi, scontata la pena, si ritrovano ad occupare le posizioni di preminenza lasciate libere dai boss di maggior calibro». 

Si avverte, insomma, all’interno di Cosa nostra, la necessità di una leadership carismatica. Per il momento, per legittimare i capi, a questi vengono affiancati coloro che nell’organizzazione rappresentano un punto di riferimento per tradizione e durata dell’affiliazione: «Attorno a costoro – si legge ancora nel documento della Dna – si coagulano vecchi, irriducibili, uomini d’onore, di cui l’organizzazione si avvale per rivestire la propria azione di quell’aura di autorevolezza e prestigio che solo la ‘tradizione’ criminale di costoro può garantirle, e nuove leve, provenienti dalle storiche famiglie di mafia, e anche, in ragione delle obiettive difficoltà di reclutamento di altri ‘picciotti’ – proseguono i magistrati -, personaggi di nessuna o quasi storia criminale addirittura talvolta preposti ad attività di sicuro rilievo per l’organizzazione quali l’imposizione del pizzo». 

Sopravvive, dunque, seppure con qualche problema gestionale, la struttura piramidale dell’organizzazione mafiosa. I magistrati rispediscono al mittente le ipotesi di camorrizzazione, di frammentazione pulviscolare, cioè, di Cosa nostra, che «resta una struttura unitaria organizzata secondo le sue ‘regole’ tradizionali come quelle sull’affiliazione dei nuovi componenti e quelle che regolano la gestione dei territori». La Direzione nazionale antimafia, poi, si sofferma sulla «costante fibrillazione dell’organizzazione che, in forza della continuità dell’attività repressiva oggettivamente versa in una situazione di crisi. Dalla cattura di Provenzano in poi (la mafia) superata la fase caratterizzata dalla cosiddetta strategia della sommersione, ha vissuto, e continua ancora oggi a vivere, una fase di transizione, non soltanto sotto il profilo della scelta di una nuova leadership ma anche sotto il profilo della ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative. Cosa Nostra – prosegue la relazione – tenta di trovare nuovi equilibri interni e, a ogni cattura dei rinnovanti vertici dell’organizzazione, segue l’immediata nomina del sostituto, capace di consentire all’organizzazione di continuare a vivere, sia pure con un livello strategico operativo basso».

La Dna sottolinea anche i tentativi dei clan di rinnovarsi «attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferimento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A conferma che, anche nei momenti di crisi, la mafia non rinuncia all’elaborazione di modelli organizzativi unitari – si legge ancora – e a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile».

Manlio Melluso

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