Mafia, presunto summit alla GeoTrans sequestrata L’amministratore giudiziario: «Pare fantascienza»

«Il nome della ditta… Come si chiama? Geo…». «GeoTrans». Mancano pochi minuti alle 14 del 18 maggio 2016, in un’auto ci sono Antonio Maranto, Filippo Giannino e Stefano Albanese. I primi due coinvolti nella maxi-inchiesta sul clan Rinzivillo di Gela e sui legami col resto della Sicilia, Roma e la Germania. Un filo rosso che collega dalla provincia di Caltanissetta fino agli Stati Uniti e che a un certo punto sembra essere passato anche dalla zona industriale di Catania. Per risolvere una questione umana: fare avvicinare un venditore ambulante di pesce a casa. Ma non solo. Luogo del vertice sarebbe stata l’impresa simbolo dell’azione dello Stato contro la criminalità organizzata: la GeoTrans, appunto, ditta di trasporti che – tra alterne vicende giudiziarie – è sotto il controllo della giustizia dal 2014. Da quando, cioè, è stata tolta dalle mani degli Ercolano, della famiglia Santapaola-ErcolanoDal 2015 il logo dell’associazione antimafia Addiopizzo fa bella mostra di sé sui tir che, un tempo, erano stati di Pippo Ercolano, cognato e storico braccio destro di Nitto Santapaola. Un anno dopo, però, sarebbe proprio quell’azienda il luogo in cui alcuni presunti esponenti di Cosa nostra siciliana, finiti ieri in manette insieme ad altre 35 persone, avrebbero scelto di incontrarsi.

Secondo la ricostruzione della procura nissena, Filippo Giannino (nato a Paternò ma residente a Belpasso, 50 anni) sarebbe uno dei più fidati uomini di Salvatore Rinzivillo, pregiudicato, presunto reggente del clan che porta il nome della sua famiglia dopo gli arresti dei fratelli Antonio e Crocifisso (detto Ginetto). Cresciuto con lui in carcere e diventato, secondo la magistratura, facilitatore degli incontri con i referenti delle altre famiglie mafiose siciliane. Come Antonio Maranto (detto Tony, 53 anni), definito «il boss di Polizzi Generosa», piccolo Comune palermitano delle Madonie. Braccio destro di Maranto sarebbe un certo Stefano Albanese, non coinvolto nell’inchiesta di Caltanissetta ma ritenuto dai magistrati collegamento con Cosa nostra catanese. La questione da dirimere, in quel giorno di maggio, è semplice: Giannino vende il pesce nella zona delle Madonie, di presunta influenza di Maranto. Un posto di lavoro troppo difficile da raggiungere vivendo a Belpasso. Così la richiesta, supportata da Salvatore Rinzivillo, sarebbe una: potere tornare a lavorare in provincia di Catania, senza disturbare nessuno nel gioco di influenze locali.

Quella mattina, Giannino riceve una telefonata di Maranto: «Ci vuoi venire a Paternò? Io sto andando là», gli dice. «Io sono a Paternò», replica Giannino. «E allora ci vediamo là». I perché di quella visita non sono chiari. Giannino chiama Rinzivillo, chiede spiegazioni, ma Rinzivillo non sa nulla e liquida la conversazione in breve. Giannino si preoccupa, domanda a un compaesano di accompagnarlo, ma quello non può ed è costretto ad andare da solo. In più, Maranto è in compagnia di Albanese. Perché quei due vogliono incontrarlo senza Rinzivillo? L’appuntamento è fissato in un bar di fronte alle case popolari di Paternò: il pescivendolo avvisa la moglie, le dice il luogo dell’incontro, l’orario e la compagnia. Passa poco più di un’ora, Rinzivillo telefona di nuovo alla moglie: stavolta è in automobile con i due. Alla compagna chiede di trovargli, su internet, l’indirizzo preciso dell’azienda di trasporti della zona industriale di Catania. La conversazione è confusa, in viva voce si sente – in contemporanea – Albanese parlare con un’altra persona. Tale Giovanni della GeoTrans.

«Dalle prime battute della chiamata si capiva anzitutto che Albanese e Giovanni si conoscevano e i rapporti erano cordiali», scrive la procura. Si danno del tu, Giovanni dice di richiamarlo più avanti, perché in quel momento era in riunione. Albanese chiede qual è il gommista della zona industriale dove di solito Giovanni lo aveva mandato. All’altro capo del telefono Giovanni risponde che il gommista si trova a Misterbianco, ma Albanese insiste e Giovanni taglia corto e riaggancia, dicendo che lo avrebbe richiamato. Quando Filippo Giannino chiude la conversazione con la moglie si interrompe anche la possibilità di sentire le altre chiacchiere all’interno della vettura. Per gli investigatori, i toni della telefonata tra il presunto Giovanni di GeoTrans e Albanese sono troppo rilassati perché «quest’ultimo potesse essere una vittima di estorsione: anzi, facevano propendere per l’esatto contrario, cioè per un soggetto contiguo alla mafia». Così come appare strano che Maranto, arrestato dieci giorni dopo questo racconto, fosse arrivato fino alla zona industriale di Catania per cercare davvero un gommista.

Gli investigatori ipotizzano che, alla GeoTrans, si possa essere tenuto un summit con esponenti della mafia catanese, visto che pochi giorni prima se n’era svolto uno a Gela e, una settimana dopo, se ne sarebbe dovuto fare un altro a Roma. «Io escludo categoricamente che possa essere avvenuto un incontro simile all’interno della GeoTrans», dichiara a MeridioNews Luciano Modica, dal 2014 amministratore giudiziario dell’azienda ex Ercolano, capace negli anni di dare una svolta all’impresa e di trasformarla in un esempio di buone pratiche. «Perché si sarebbero dovuti mettere nei guai facendo un incontro là? – si domanda – La procura sa chi sono i nostri clienti e fornitori e all’interno c’è sempre un mio collaboratore di fiducia. Abbiamo le telecamere di sorveglianza ovunque e ci sono controlli costanti su chi entra e chi esce. Per mettere piede nel nostro stabilimento bisogna fornire i propri dati: sarebbe una follia fissare un incontro là dentro». Di Giovanni ce ne dovrebbe essere uno soltanto, impiegato nel comparto amministrativo: «Una brava persona», sostiene Modica. «Rimane il fatto che, per scegliere di vederti lì, devi essere pazzo». Lui di questa storia non sapeva nulla, ma adesso garantisce: «Chiederò chiarimenti. Ma mi pare fantascienza».

Luisa Santangelo

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