Raffaele Lombardo vuole rivedere in faccia Rosario Di Dio. Il presunto boss del calatino, ultimo grande accusatore dell’ex presidente della Regione, potrebbe finire al centro di un confronto diretto con il politico autonomista. La richiesta, ancora al vaglio dei giudici, è arrivata direttamente dai suoi legali, a margine dell’ultima udienza del processo d’appello in cui Lombardo è imputato per concorso esterno alla mafia. «Non possiamo affidarci ai collegamenti video – spiega Alessandro Benedetti -, queste persona bisogna guardarla in faccia». Al centro della vicenda ci sono due interrogatori resi da Di Dio ai magistrati della procura di Catania. Il presunto boss, originario di Castel di Iudica, da cinque anni si trova rinchiuso nel carcere di Novara al regime del carcere duro. Non si è pentito, ma nell’ultimo anno qualcosa è cambiato. Dopo la condanna in primo grado a 20 anni per mafia nel processo Iblis, Di Dio ha reso dichiarazioni spontanee racchiuse in due verbali. Il primo di dicembre 2014 – svelato per la prima volta da MeridioNews – e il secondo qualche mese dopo, nell’estate 2015. In quest’ultimo si sono concentrati racconti e accuse su Raffaele Lombardo e il fratello Angelo, ex deputato Mpa anche lui imputato per lo stesso reato, ma in un procedimento separato. Carte secretate, quelle con le parole di Di Dio, che nell’ultima udienza sono state accolte dai giudici come prove.
A essere messo nero su bianco per la prima volta è un nome nuovo: quello di Angelo Santapaola. L’ex reggente della famiglia mafiosa di Cosa nostra catanese, inghiottito dalla lupara bianca nel 2007, sarebbe uno dei protagonisti dell’intreccio tra mafia e politica. Santapaola si sarebbe speso alla ricerca di voti per l’Mpa. Un interessamento conosciuto da Di Dio perché, secondo i suoi racconti, sarebbe stato lui stesso l’intermediario per un numero non precisato di incontri, tra il reggente di Cosa nostra etnea e l’allora leader autonomista Raffaele Lombardo. Chi associa il nome di Santapaola al partito dell’ex governatore siciliano è anche il pentito Gaetano D’Aquino. L’ex reggente dei Cappello racconta di averlo appreso dallo stesso boss prima della sua morte in un colloquio avvenuto al bar Lanzafame: «Mi disse che portava l’Mpa ma anche il candidato Pippo Limoli del Pdl», spiega ai giudici.
Tra i vari aneddoti raccontati da Di Dio ai magistrati etnei sembrerebbe esserci anche un banchetto elettorale nell’agriturismo Paglia, in contrada Montagna nei pressi di Ramacca. Sullo stesso punto torna anche D’Aquino nell’ultima udienza del processo ad Angelo Lombardo. «Non c’erano politici ma tanti imprenditori agricoli della zona e si diceva di appoggiare l’Mpa» A esporsi nella richiesta di sostegno elettorale, davanti a circa cento persone, sarebbe stato secondo D’Aquino, proprio Di Dio. Il pentito catanese si sarebbe recato all’incontro accompagnato da altri uomini tra cui Sebastiano Fichera. Padrino del clan Sciuto-Tigna poi ammazzato il 26 agosto del 2008.
Nel processo d’appello oltre a Di Dio verranno sentiti diversi collaboratori di giustizia. Tra questi Fabrizio Nizza e Giuseppe Scollo, oltre a Palma Maria Biondi, moglie di Eugenio Sturiale. La donna pentita, sposata con l’ex boss santapaoliano poi transitato ai Cappello, ha raccontato del presunto pestaggio subito da Angelo Lombardo nel 2008. Una bastonatura come punizione per il mancato rispetto degli impegni elettorali. Sono state valutate come «non necessarie», secondo i giudici, le testimonianze dei protagonisti dell’intercettazione ambientale del luglio 2008 nello studio di Mario Ciancio, editore e direttore del quotidiano locale La Sicilia. In quell’occasione si chiese lintercessione di Raffaele Lombardo per «ammorbidire ma non in denaro i dirigenti» del Comune di Catania per una vicenda amministrativa relativa a una variante alla concessione edificatoria del centro commerciale Porte di Catania.
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