«Quando ci impossessammo del camion, intervenne. Doveva darci una mano per spostare le gomme su altro mezzo». Dalla disponibilità a fare da appoggio per una banda di rapinatori a imprenditore capace di gestire, da dietro le quinte, affari a tanti zeri nel commercio di carburanti e del trasporto su gomma. Poco più che ventenne, la carriera di Francesco Siverino aveva registrato una crescita da fare invidia a chi frequenta le business school. Se non fosse per il coinvolgimento – all’ombra del padre Antonio, detto u Miliardariu – negli affari del clan Scalisi di Adrano. Legami economici ma anche di cuore: il giovane, infatti, ha spostato la nipote del boss Pippo Scarvaglieri che, seppure dal carcere dove è rinchiuso da vent’anni, rappresenta il volto dei Laudani nel centro etneo.
A fare il nome di Francesco Siverino come un ragazzo pronto ad andare incontro agli interessi pratici della cosca è stato il collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco. Con il passare degli anni, però, il sostegno degli imprenditori si sarebbe manifestato sotto la parvenza di fatturati e rapporti commerciali portati avanti con la consapevolezza di avere un socio pesante nel carcere di Sulmona. Su tale ricchezza, che si aggira intorno ai cinquanta milioni, hanno posto i sigilli gli uomini del Gico della guardia di finanza di Catania. L’attenzione della procura, però, è ancora alta e potrebbe trovare spunti di interesse nella conduzione di una delle 17 società sequestrate.
Stando a quanto appreso da MeridioNews, la lente dei magistrati si sarebbe soffermata in particolar modo sulla SL Group, società a responsabilità limitata con sede legale a Catania – in via Martiri delle Foibe, a poche centinaia di metri dall’ospedale Garibaldi-Nesima – ma le unità locali tra Lombardia e Veneto. Dove il giovane Francesco, da qualche tempo, si era spostato con la famiglia. Costituita tre anni fa, l’impresa è interamente in mano al 37enne Christopher Cardillo. L’uomo, però, sarebbe soltanto uno dei tanti prestanome a disposizione dei Siverino. Sul punto gli inquirenti non avrebbero alcun dubbio: negli stessi anni in cui sui conti della SL Group passano somme importanti, la situazione finanziaria di Cardillo è di tutt’altro tenore. Nel 2019, l’uomo dichiara redditi per poco più di tremila euro nelle vesti di autotrasportatore ma, nello stesso periodo, dalle casse della società vengono usati quasi 200mila euro per comprare gioielli, abiti di lusso e pagare viaggi. Tutti beni di cui, per gli inquirenti, avrebbero beneficiato soltanto i Siverino.
A rafforzare questa tesi sono anche le intercettazioni. In una Cardillo parla con il figlio di Antonio u Miliardariu, al quale rivela l’intenzione di trovarsi un altro lavoro, per arrotondare anche nella consapevolezza che la vita al Nord implica spese maggiori. L’ipotesi non è apprezzata dal giovane Siverino, secondo il quale la paga pattuita con Cardillo non sarebbe da buttare. «Cristo’, non ti puoi lamentare: 1600 euro al mese, senza fari nenti su belli soddi», commenta Francesco. Il prestanome – di fatto un dipendente degli imprenditori adraniti – fa notare però di non percepire la tredicesima e che altrove si possono guadagnare anche 1800 euro. «Ma devi lavorare. Per duecento euro, t’ha susiri a matina e ti na ‘gghiri a travagghiari». Anche in questo caso arriva la replica: «Tu hai ragione, ma alla fine: quando succede qualcosa (una possibile indagine, ndr), a me che rimarrà?».
A posteriori si può dire che quel qualcosa è successo e che altro potrebbe ancora accadere. A insospettire i magistrati, infatti, sarebbero stati i conti della SL Group. E, in particolar modo, la voce relativa al mancato versamento dell’Iva all’Erario per somme ingenti. L’ipotesi che si segue a piazza Verga è quella della maxi-truffa legata alla normativa che regola i depositi fiscali, ovvero la situazione in cui determinati beni – ed è questo il caso dei carburanti – possono essere acquistati e custoditi in regime di sospensione di accisa. In sostanza, SL Group poteva acquistare benzina e gasolio senza pagare l’imposta sul valore aggiunto, per poi versarla al momento della vendita del prodotto. I clienti della società, altri grossisti, pagavano infatti il carburante con un prezzo comprensivo di Iva.
Stando però a quanto risulta a MeridioNews, SL Group avrebbe omesso di versare le somme all’Erario, accumulando debiti per diversi milioni di euro. Qualcosa di simile è emerso anche in un’altra indagine che, l’anno scorso, ha fatto luce sugli intrecci tra mafia e il commercio di carburanti. In quella circostanza, a finire nel mirino degli inquirenti era stato l’attivismo di uomini che operavano nell’interesse del clan Mazzei.
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