Mafia, polemiche sulla libertà vigilata a Giovanni Brusca «Il ravvedimento non c’entra, si sta applicando la legge»

«Si sta applicando la legge». Il regime di semilibertà concesso a Giovanni Brusca, che ha lasciato ieri il carcere romano di Rebibbia dopo 25 anni di reclusione, sta mietendo polemiche. Da certe parti della politica ad alcune famiglie di vittime di mafia, sale l’indignazione per la libertà vigilata all’uomo che si è autoaccusato di oltre 150 omicidi, non ultimo quello di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della sua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro. La legge che tuttavia si sta applicando, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano, è proprio quella fortemente voluta dal giudice palermitano e lo sa bene anche la sorella Maria Falcone che ha dichiarato di essere «umanamente addolorata» dalla notizia, «ma questa è la legge. Una legge che peraltro ha voluto mio fratello e, quindi, va rispettata». 

Dello stesso avviso è Costantino Visconti, professore ordinario di Diritto penale dell’Università di Palermo. «Mi spiace sapere che è in giro. Anche se poi non è proprio così: avrà una serie di restrizioni e controlli, non può scorrazzare a destra e a manca – dice a MeridioNews – Ma è una legge che abbiamo voluto, che ha voluto Falcone. Mi stupisco delle persone che si stupiscono. Comprendo lo sconcerto, ma è giusto così. D’altro canto c’è qualcuno che pensa che chi collabora con la giustizia automaticamente si penta? No, è uno scambio che lo Stato fa per ottenere maggiori risultati sul piano investigativo».

E il contributo dei collaboratori di giustizia è spesso determinante nelle indagini e nei processi. «Se Brusca non avesse collaborato con la giustizia – aggiunge Visconti – rivelando gli autori anche di efferati omicidi, oggi non sarebbe in libertà. E, invece, lo è perché la legge lo prevede. Una regola cinica – commenta l’esperto – ma, se devo sgominare un’organizzazione criminale, devo avere collaboratori al suo interno». Una norma che nasce, peraltro, proprio da una intuizione di Falcone che fu il primo a iniziare delle interlocuzioni con quelli che all’epoca venivano ancora chiamati pentiti. «Del resto è attraverso Tommaso Buscetta e poi gli altri collaboratori di giustizia che seguirono che siamo arrivati al Maxiprocesso», fa notare Visconti.

«Anche le polemiche sulla sentenza della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo (che a differenza di quello comune non permette al detenuto di beneficiare di determinati permessi, ndr) dovrebbero segnare il passo – aggiunge il docente – Ma le collaborazioni di giustizia non sono indice di un autentico ravvedimento, quindi questo sistema potrebbe valere anche per i mafiosi che non hanno collaborato, a patto che non abbiano più legami con la criminalità organizzata». Per Visconti, infatti, quello sarebbe «un sicuro indice di ravvedimento». 

Gabriele Ruggieri

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