A far saltare in aria Giovanni Falcone è stata la mafia, e soltanto la mafia. Nessun intervento esterno, almeno nell’esecuzione materiale dell’attentato. Ad affermarlo è stato stamattina il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Onelio Dodero, durante la propria requisitoria al processo Capaci bis in corso a Caltanissetta. «È difficile sostenere l’ipotesi che nell’esecuzione della strage di Capaci ci siano stati interventi di soggetti estranei a Cosa Nostra» ha detto Dodero, durante la terza udienza.
Per l’attentato che causò la morte, oltre che del giudice, anche della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, sono imputati Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. La possibilità che alla strage avessero partecipato anche soggetti estranei alle famiglie mafiose era stata messa in campo dopo l’analisi della scena del delitto. «Questa ipotesi era stata avanzata dopo il ritrovamento di alcuni oggetti a 63 metri dal cratere provocato dall’esplosione della carica – ha aggiunto il pm – ma è stato poi dimostrato che a maneggiarli erano stati alcuni dei mafiosi condannati nei precedenti processi». E i magistrati fanno alcuni esempi: «Ricordiamo ad esempio la torcia con la pila, sulla quale vennero trovate le impronte di Salvatore Biondo e il tubetto di mastice utilizzato da Pietro Rampulla, mentre provava il funzionamento del telecomando usato per far detonare la carica esplosiva».
Il processo Capaci bis, iniziato nella primavera 2014, nasce in seguito alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, sulle modalità con cui sarebbe stato reperito l’esplosivo utilizzato per fare esplodere il tratto di autostrada A29 nel territorio del Comune di Isola delle Femmine.
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