«In provincia di Palermo Cosa nostra si presenta ancora strutturata, pervasiva e dotata di una decisa volontà di riorganizzare i propri ranghi e allargare la sfera di influenza». Poche parole, ma in grado di restituire un quadro chiaro di quanto la mafia sia ancora radicata e pericolosa nel Palermitano e in particolare nel capoluogo di regione. Si apre così la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia relativa al secondo semestre del 2019, l’ultima a essere stilata e da poco resa pubblica. «Le consorterie criminali palermitane – si legge – oltre che a ricercare un capillare controllo del territorio, si muovono con sempre maggiore sicurezza negli ambienti imprenditoriali e finanziari, infiltrandosi nei gangli della società produttiva e degli apparati amministrativi degli Enti locali». Ancora una volta, secondo gli investigatori, Cosa nostra continua a trarre i maggiori profitti dalle estorsioni, dalla droga e come da qualche anno a questa parte accade, anche dal gioco d’azzardo online, ma sono sempre più frequenti i tentativi di infiltrarsi all’interno del tessuto economico con attività imprenditoriali, spesso gestite in maniera fittizia da prestanome.
Il cuore dell’azione investigativa, tuttavia, prende le mosse ancora una volta dal lungo strascico che si porta dietro dopo quasi un anno l’operazione Cupola 2.0, che risale ai primi di dicembre del 2018. L’aver bloccato sul nascere la nuova commissione provinciale, rimessa in piedi dopo la morte di Totò Riina, ultimo capo dei capi del Palermitano, è stato un colpo che la mafia pare non avere ancora metabolizzato. Inoltre tante delle successive azioni delle forze dell’ordine sono arrivate grazie a nuovi collaboratori di giustizia che hanno deciso di fare il loro grande passo dopo essere finiti in manette proprio in quell’operazione. Il riferimento è soprattutto all’ex capo della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno, Filippo Bisconti. Un pentimento che nel piccolo Comune alle porte di Palermo ha dato origine a una serie sanguinosa di eventi per ristabilire una linea gerarchica e una supremazia.
Al momento, più della repressione, Cosa nostra soffrirebbe infatti di «“immobilismo” organizzativo, causato prima dallo stato di lunga detenzione in regime speciale di Riina e, dopo, dal fallito tentativo di ripristino della c.d. Commissione provinciale, necessaria per stabilizzare l’ambiente interno in seguito alla morte dello storico boss». Al centro dei riflettori ancorma nota riunione dei capi mandamento, tenuta il 29 maggio del 2018, era infatti indirizzata alla ricostituzione di un organismo centrale con funzioni di direzione e coordinamento sulle attività criminali di rilievo inter mandamentale». La mafia palermitana, infatti, nel riorganizzarsi ha cercato con forza di superare asperità e dissidi interni. Anche per questo il famosissimo summit del maggio 2019, con l’investitura di Settimo Mineo a nuovo capo della commissione provinciale, è andato in scena in una villa di Baida, proprio all’interno del mandamento che fu degli Inzerillo prima che scappassero oltreoceano dopo avere perso la prima grande guerra di mafia tra palermitani e corleonesi.
Il ritorno degli scappati avrebbe dato autorevolezza e ulteriore potere alla Commissione. «Tale organismo avrebbe dovuto riassumere le competenze di un tempo per l’individuazione delle linee strategiche e operative dell’organizzazione, la risoluzione di attriti e conflitti tra le varie articolazioni mafiose, nonché per la scelta dei vertici mandamentali. Un contesto di silente fermento riorganizzativo interno a Cosa nostra – in cui ancora si avverte la divisione tra “scappati” e “stanziali” – non è da escludere che personaggi considerati, nel recente passato, come “perdenti” spingano a riprendere il potere dopo la lunga egemonia corleonese». Ma se con gli Inzerillo è andata bene, con il successo dell’operazione New Connection, che ha visto tornare in manette gli scappati e molti loro sostenitori, a complicare le cose ci ha pensato l’emergenza sanitaria per arginare il Covid 19.
«Allo stato, nonostante vari tentativi di ricostituzione, la Cupola palermitana non appare in grado di potersi riunire, lasciando così insolute le problematiche di coordinamento avvertite da tempo». Questo anche per la mancanza di leader dotati di carisma e di un nutrito seguito di uomini. Un vuoto che tuttavia in queste settimane ha rischiato di riempirsi nuovamente viste le tante scarcerazione di diversi uomini di spicco di Cosa nostra, che hanno chiesto e ottenuto la momentanea scarcerazione. «Nel periodo in esame – continua la relazione – alcuni soggetti vicini alle consorterie mafiose palermitane hanno concluso il loro periodo di detenzione, ritornando in molti casi alle precedenti attività criminali. A ciò si aggiunga come, in relazione alla pandemia da Covid-19, è stata concessa, a fine aprile 2020, la detenzione domiciliare in Sicilia al boss Francesco Bonura, prima detenuto al 41 bis, poi rientrato in carcere per effetto del decreto legge 29 del2020. Gli aspetti organizzativi e operativi dei sodalizi risultano, infatti, costantemente influenzati dalle scarcerazioni degli anziani uomini d’onore, ai quali sarà sempre riconosciuta una pregnante influenza sul territorio. In effetti spesso le famiglie – che avevano dovuto affidare il controllo dei loro affari a giovani elementi talvolta impulsivi, spregiudicati e in qualche caso privi di visione strategica – devono fare ricorso proprio ai consigli dei più anziani, che sopperiscono, con il loro carisma, a reggenti senza un reale seguito». E ancora, nello specifico: «Nel periodo di riferimento, si segnalano le scarcerazioni, di uomini d’onore delle locali consorterie mafiose, tra le quali quelle di Passo di Rigano-Boccadifalco, Uditore, Porta Nuova e di Borgetto (PA). Tra gli scarcerati anche un nigeriano che ha rivestito un ruolo di spicco nell’ambito della cosiddetta Black Axe».
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