«Non ho mai avuto molta simpatia per quell’iniziativa. Mi sembrava più una parata». Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio del 1992, non usa giri di parole. Un concetto diretto, espresso con lucida schiettezza. «Ho sempre trovato fuori luogo prendere quei ragazzi, portarli a Palermo e condurli nell’aula buker del carcere Ucciardone di Palermo, dove personaggi, spesso impresentabili, ricordano Giovanni e Paolo» dice a Meridionews. La decisione di non far attraccare più nel porto di Palermo, alle 8 del mattino del 23 maggio, le due navi della legalità con le gigantografie degli eroi antimafia, non lo turba particolarmente.
«Direi che la cosa non mi tocca» ammette. Il battagliero fratello del giudice antimafia non è nuovo a posizioni controcorrente. «Io sono per manifestazioni di lotta e non per le parate. Ho creato le Agende rosse per dire ad alta voce che dallo Stato ci attendiamo verità e giustizia. Non sappiamo che farcene di corone di fiori, lapidi e celebrazioni ipocrite. La morte di Giovanni e Paolo è stata resa possibile da pezzi deviati dello Stato. Queste persone non hanno il diritto di ricordarli».
Quest’anno per la prima volta la manifestazione in via D’Amelio, il 19 luglio, sarà dedicata ad Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, gli angeli di Paolo Borsellino. “Sono eroi dimenticati – dice -, di cui non si pronuncia nemmeno più il nome. Un’entità indistinta, la scorta, appunto. Invece, noi vogliamo ricordarli ad uno ad uno».
Infine, una riflessione sulla politica. E un giudizio durissimo sul Governo Renzi. «E’ partito sotto i peggiori auspici con quel patto del Nazareno. Un’alleanza con un condannato per mettere a punto riforme importanti da quella elettorale a quella del titolo V della Costituzione. Credo sia stato deleterio per l’immagine dello Stato”.
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