Mafia nei cantieri fibra ottica, le prime condanne Per pizzo a imprenditore oltre 30 anni di carcere

La prima sentenza è arrivata a poco più di due anni dal blitz delle forze dell’ordine: la mafia imponeva il pizzo ai cantieri della fibra ottica. Al termine del processo di primo grado con rito abbreviato, il tribunale di Enna ha condannato ieri Salvatore La Delia (15  anni e quattro mesi), Eduardo Mazza (sei anni, otto mesi e quattromila euro di multa), Antonio Salvatore Medda (sei anni e quattromila euro di multa) e Filippo Scalogna (otto anni e duemila euro di multa), tutti arrestati tra marzo e maggio 2018 nell’ambito dell’inchiesta Capolinea della procura di Caltanissetta.

A occuparsi dell’inchiesta è il magistrato Roberto Condorelli, della direzione distrettuale antimafia nissena. Per gli investigatori, gli affari del gruppo (altri tre imputati sono sotto processo con un rito ordinario ormai alle battute finali) si sarebbero svolti a cavallo tra tre province: quella di Enna, dalla quale provengono loro e l’imprenditore taglieggiato, e quelle di Catania e Siracusa, dove si stavano effettuando i lavori per la posa della fibra ottica sotto la sede stradale. 

Agli atti dell’inchiesta finisce il profilo di Salvatore La Delia, già condannato per mafia e ritenuto esponente della famiglia ennese di Cosa nostra. Per gli inquirenti, sarebbe stato il trait d’union tra la ditta e le cosche operanti sui territori. Non solo quelle vicine alla famiglia mafiosa catanese dei Santapaola-Ercolano ma, all’occorrenza, anche quelle legate al clan Cappello-Bonaccorsi. Sarebbe stato La Delia a suggerire all’imprenditore sotto estorsione di rivolgersi alla mafia per avere protezione. Eduardo Mazza si sarebbe occupato di raccogliere il denaro dai cantieri siracusani, mentre Antonio Salvatore Medda avrebbe avuto il compito di esattore per quelli catanesi, con l’aiuto di Filippo Scalogna. Quest’ultimo, ritenuto esponente dei Santapaola-Ercolano, raggiunto in carcere dall’ordinanza di custodia cautelare del 2018 poiché in quei giorni appena condannato per associazione mafiosa in via definitiva nell’ambito di un altro processo.

A fare scalpore, nei giorni degli arresti tra le tre province isolane, alcune intercettazioni del titolare della dita sotto lo scacco dei clan. L’uomo, lamentandosi spesso al telefono con la moglie, non esitava a manifestare la sua rassegnazione: «A Catania non è come a Enna, non si può scherzare. Bisogna adeguarsi». In realtà, secondo le inchieste successive, neanche nell’Ennese c’era da stare tranquilli. L’inchiesta Capolinea, infatti, s’intreccia con quella denominata Kaulonia e scattata a marzo 2019. Un anno di distanza tra due blitz, necessario però alla procura nissena a fotografare reti di rapporti e contatti, intrecci tra province e un summit per discutere come «mettere a posto» proprio l’appaltatore della fibra.

Luisa Santangelo

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