«Si parla tanto di beni confiscati alla mafia e del loro riutilizzo sociale, ma noi che ne gestiamo uno da un anno siamo stati lasciati soli. Né il Comune né l’Agenzia nazionale hanno mai chiesto nostre notizie. Sarà che il quartiere dove vorremmo operare è periferico, non so, ma alla fine spariscono tutti». Francesco Lambri è il presidente dell’associazione Miscelarti, e quando ad agosto 2016 si aggiudica i due garage in via Spedalieri (zona Fiera del Mediterraneo) certo non immagina tutte le traversie che attenderanno lui e gli altri volontari. A quasi un anno di distanza la sede si ritrova ancora senza luce, con un preventivo Enel arrivato solamente pochi giorni fa. E pensare che i progetti erano, e sono, tanti.
«Nella primavera del 2016 sul sito del Comune apprendiamo di un bando per l’assegnazione di alcuni beni confiscati alla mafia», dice Lambri, ripercorrendo l’iter che ha portato all’affidamento. «Avevamo presentato il progetto social factory che prevedeva l’apertura di una biblioteca di quartiere, inserita nel circuito cittadino, un doposcuola per 20 bambini, una web radio e uno spazio per laboratori artistici e sociali suddivisi per fascia di reddito».
Inizialmente Miscelarti arriva seconda in graduatoria, ma con lo scorrimento di agosto il Comune informa i volontari che sono rimasti alcuni beni che alcune associazioni vincitrici avevano scartato. «Abbiamo scelto quello di via Spedalieri, nella settima circoscrizione – spiega Lambri – anche perché io in passato c’avevo lavorato, conoscevo le problematiche del quartiere e ci tenevo particolarmente. Lì la popolazione è mista, si va dal borghese che lavora al disoccupato a gente ‘combinata male’, in dieci metri c’è di tutto quindi si può lavorare sull’integrazione». Fino a qui, insomma, tutto bene. Ma le sorprese sono dietro l’angolo, e si manifestano già alla consegna. «Dalla pianta catastale il bene avrebbe dovuto essere un unico ambiente, e invece si tratta di due garage separati da un muro e con le pareti di cartongesso. Inoltre c’era solo un contascatti e non un contatore».
È il settembre 2016 quando l’associazione richiede il preventivo Enel: sembra una formalità, e invece per i volontari comincia una vera e propria odissea. «Il primo tecnico arriva a ottobre – racconta ancora il presidente di Miscelarti – e ci dice che il preventivo arriverà via mail. Noi attendiamo fino a natale, poi con l’anno nuovo vado alla sede e faccio una nuova richiesta. Dopo una settimana arriva una lettera del primo sopralluogo in cui ci dicono che i contatti che avevamo indicato erano errati, cosa non vera, così richiedo nuovo preventivo. Ancora nessuna notizia per mesi, tanto che ho dovuto chiamare il servizio elettrico nazionale che è stato, questo sì, puntualissimo».
Non è la sola traversia, tra perdite d’acqua nel palazzo che hanno già portato muffa nei locali e operai che scompaiono al momento del trasferimento di mobili. Lambri però non demorde, anche se l’amarezza è tanta. «Fabbricheremo tutto da soli – dice – anche perché noi potenzialmente abbiamo l’obbligo di fornire i servizi. Vogliamo mantenere fede all’impegno, con tutta la buona volontà del mondo. Di certo penso che questo non sia un sistema davvero funzionale. Perché si restituiscono solo i beni alla collettività e mai i soldi confiscati alla mafia? Almeno un minimo del patrimonio criminale dovrebbe tornare ai quartieri attraverso i servizi del volontariato che si vogliono dare».
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