Mafia, l’agguato ad Adrano raccontato da una delle vittime Sfottò per chi sbagliò mira: «Sai usare quelle delle giostre»

«Ma zitto tu che sai sparare solo con quelle delle giostre». Sono da poco passate le 22.30 del 30 agosto del 2019 quando una delle sorelle di Cristian Lo Giudice si prende quasi gioco del suo fidanzato Mario Tuttobene. I due uomini sono tra gli arrestati – 21 in tutto – di ieri dell’operazione antimafia Third Family. Appena dieci giorni prima, intorno a mezzanotte, le strade della periferia di Adrano si erano trasformate in un Far West. Una Bmw station wagon grigia – guidata da Francesco Restivo, detto u caminante, con a bordo Agatino Lo Cicero, Mario Tuttobene e Francesco Celeste (tutti in carcere da ieri) e una moto Honda con in sella Cristian Lo Cicero (ritenuto il capo del gruppo adranita) inseguono uno scooter su cui scappano Francesco Vitanza e Salvatore Giarrizzo. Molti colpi vengono esplosi con almeno una pistola e una mitraglietta. Secondo l’accusa, l’obiettivo è uccidere i due per agevolare la famiglia Mazzei Carcagnusi di Catania (di cui il gruppo rappresenterebbe un’articolazione ad Adrano) per affermare e ribadire la supremazia del sodalizio criminale nei confronti dei clan rivali e storicamente presenti (Santangelo Taccuni e Scalisi) per il controllo delle piazze di spaccio

Oltre alle immagini registrate dalle
telecamere di videosorveglianza della zona, a fornire la ricostruzione di quanto accaduto è stato proprio Salvatore Giarrizzo nel suo doppio ruolo di vittima e testimone. Appartenente al clan Scalisi (affiliato ai Laudani) fin dall’età di 17 anni, ne diventa reggente nel 2017 quando Pietro Maccarrone e Vincenzo Biondi finiscono in carcere. Giarrizzo viene arrestato il 16 luglio del 2020 e, appena quattro giorno dopo, comincia a collaborare con la giustizia. È stato lui a raccontare che a partire dal 2018 (dopo l’operazione Adranos) Lo Cicero avrebbe provato a vendergli cocaina e marijuana ma «io ho rifiutato perché non gli volevo dare tutta questa importanza». A quel punto, almeno apparentemente, i ruoli si invertono: ed è Lo Cicero a comprare da lui le sostanze stupefacenti «ma – ha puntualizzato il collaboratore che è ritenuto attendibile – solo per sentirsi libero di spacciare ad Adrano dicendo che stava vendendo la mia droga anche se poi ne vendeva molta di più acquistandola da altri canali». 

Ed è così che tra
litigi, avvertimenti e richiami si arriva al giorno dell’agguato. In mattinata tra Giarrizzo e Lo Cicero ci sarebbe stato un incontro durante il quale quest’ultimo avrebbe evocato «l’avvio di una possibile guerra di mafia». E, in effetti, manca poco alla mezzanotte quando nella zona dei Cappuccini «mentre scappavamo sentivo sparare anche con un’arma più grossa, a raffica». L’inseguimento, la fuga e gli spari durano per un lungo tratto di strada, fino al quartiere Cappellone. «Lì, dopo il passaggio a livello, io sono sceso dallo scooter e mi sono nascosto sotto una macchina e poi a casa di mio cugino». Quella stessa notte, Giarrizzo chiama a raccolta i suoi per discutere la strategia di vendetta da sottoporre ai rappresentanti del clan Laudani: l’idea è di rispondere al fuoco con il fuoco. «Io Lo Cicero comunque lo volevo uccidere – ammette – Non avremmo accettato alcuna eventuale proposta di pace dai Carcagnusi», tanto che le armi erano già pronte. Un piano che, però, non si concretizza perché «da quel giorno Cristian Lo Cicero e tutti i più fedeli del suo gruppo sparirono da Adrano».

Trascorsi dieci giorni dall’agguato,
Mario Tuttobene è in macchina insieme alla sua ragazza. Mentre passano in piazza Sant’Agostino davanti al camion dei panini gestito da Giarrizzo,  alla donna viene in mente un incubo che ha fatto la notte prima: ha sognato proprio il fratello di Giarrizzo che «mi conficcava proprio questo qui dentro nelle costole e mi diceva: “Mi devi dire dove sono“», riferito ai suoi fratelli Cristian e Agatino. In sottofondo c’è la canzone dance latina Loco Contigo e i due fidanzati continuano a chiacchierare senza sapere di essere intercettati. «Le persone mi guardano con un altro occhio, tipo come se fossero spaventati. Ci credi? Bello però, ah», dice Tuttobene con riferimento alla sparatoria. La donna prova a farlo ragionare su questa sensazione che non condivide ma lui ci resta male: «Tu sei cessa perché non mi fai vivere i miei sogni». Un sogno che, in ogni caso «con questa mira che hai tu…», lo prende in giro la ragazza. Lui ci resta male e prova a ribattere di avere mancato per poco l’obiettivo e che era un risultato niente male per uno che non aveva mai usato un’arma prima di allora. 

«Ma zitto – rincara la dose la donna – che
sai sparare solo con quelle delle giostre». A questo punto, l’uomo come fosse un vanto ricorda alla fidanzata di avere già «bucato un cane, l’ho colpito. Pum pum pum». Spari che per la ragazza però non fanno testo perché contro l’animale sarebbero stati esplosi solo a circa un metro di distanza mentre «le persone le devi prendere anche a dieci metri di distanza». Nonostante le scarse abilità criminali dimostrate, l’uomo ha un’aspirazione: «Non dico che lo spero però ce l’avrei come desiderio» quello di partecipare a un omicidio. E non solo, ha anche voglia di essere riconosciuto come appartenente al gruppo tanto che racconta alla fidanzata che «già con Dino (il cognato Agostino Lo Cicero, ndr) me lo sono dato un bacio sulle labbra. Lui stesso mi ha preso e me l’ha dato e io altrettanto. Ma non è una questione di gay», ci tiene a precisare davanti alla donna.

Marta Silvestre

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