Mafia, la quotidianità dei luoghi delle stragi «Dietro questi scatti c’è una crisi personale»

Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Ma anche Natale Mondo, il piccolo Claudio Domino e il pensionato Giuseppe D’Angelo. Sono molti, tra noti e meno noti, i protagonisti della mostra simbolicamente intitolata Gli Invisibili e firmata dalla palermitana Lavinia Caminiti, adesso allestita al primo piano del vecchio palazzo di giustizia di Palermo. Scatti che, però, non assomigliano alle immediate scene di sangue immortalate proprio in quegli anni bui da colleghi come Letizia Battaglia. A essere fissati adesso, nero su bianco, sono le immagini di quei luoghi oggi, quelli che un tempo furono teatro di quei brutali assassinii, dove adesso in alcuni casi sorgono lapidi commemorative, o nemmeno quelle. Luoghi maledetti, catturati non in occasione delle consuete cerimonie, immancabili anno dopo anno. Ma presi nella loro quotidianità, con i cassonetti ricolmi della differenziata posti accanto a una lastra di marmo, con le auto parcheggiate a ostacolare la vista, con le sterpaglie tutt’attorno.

Luoghi che, proprio noi palermitani, siamo abituati a vedere ogni giorno. E che la semplicità e l’immediatezza degli scatti di Caminiti pongono adesso sotto una luce diversa, quasi inedita. Caratteristiche da cui scaturisce tutta la potenza e l’intensità di questo allestimento ideato già quattro anni fa. «Dietro questa mostra non c’era un progetto originario e preciso di realizzare quello che espongo oggi anche fuori dalla Sicilia. Ero solo andata a vedere insieme a un amico magistrato i luoghi degli attentati di mafia», racconta l’autrice a MeridioNews. «Solo dopo averli fotografati e visti e rivisti, quei luoghi mi hanno suggerito qualcosa, nella spietatezza della loro quotidianità». Una lettura inedita e capace, senza troppi fronzoli, di veicolare un messaggio univoco e immediato, chiaro per tutti. E che in qualche modo ci inchioda alle nostre responsabilità. A quella colpa di frequentare e saper rispettare quegli stessi luoghi solo in occasione delle celebrazioni di rito di ogni anno.

Mentre a fare da contraltare sotto ogni pannello c’è la pagina di giornale che all’epoca annunciò la notizia di quegli omicidi. «Un’idea che mi ha convinta subito perché piena di spunti interessanti – continua Caminiti -. Mostra il passato attraverso quelle foto scattata dai fotoreporter di allora, inserite nel contesto del giornale. Un meccanismo che permette di riflettere sull’impaginazione che veniva scelta, sulle immagini e le pubblicità che accompagnavano scatti di sangue e morte. In un caso, per esempio, ho trovato di fianco a una di queste foto una che immortalava la famosa Cicciolina, mentre in un altro riquadro si sponsorizzava un gabinetto». La mostra, allestita per la prima volta nel 2014 e partita da Monreale, gode del beneficio ministeriale oltre che della stima del mondo della magistratura, da Scarpinato a Lo Voi e Boccassini.

«Se a distanza di quattro anni questi scatti continuano a essere riproposti, qualcosa vorrà dire. Il segreto di tutto secondo me è nella loro semplicità, nel loro presentarsi senza troppa demagogia – rivela l’autrice -. Una semplicità che, fino ad oggi e in ogni allestimento, ha fatto arrivare forte e chiaro un messaggio inequivocabile. Una goccia nell’oceano, però si fa. Un modo per dire di curare di più questi luoghi, ma è il cittadino che va educato». Un messaggio che la fotografa porta anche agli studenti delle scuole, a cui mostra e racconta la natura del suo progetto e gli aspetti più intensi e personali che lo contraddistinguono. «Qualcosa si può fare per cambiare il nostro atteggiamento, ma solo imparando a parlare con le nuove generazioni, imparando a guardarci attorno e a rispettare le proprie mura – dice -. Questi scatti mi hanno insegnato a guardare in modo diverso, ora io cerco di trasmetterlo ai più giovani».

Ma approdare a un allestimento del genere per Lavinia Caminiti non è stato affatto facile e scontato. Laureata in storia dell’arte, per anni ha immortalato con i suoi scatti soggetti e ambientazioni ben diversi. «Arrivare a questo è stato inaspettato e casuale, e a volte anche problematico, visto che non avevo mai affrontato temi di questa natura. Dietro c’è una crisi mia personale molto forte. Perché puoi sapere cosa vuoi dire, ma non sempre sai subito il modo in cui dirlo, entri in crisi – racconta l’autrice -. In questo caso la crisi ha funzionato, ma io sono sempre insoddisfatta, malgrado i risultati raggiunti, sempre in crisi in un certo senso, lascio perciò che tutto parli da solo». 

Silvia Buffa

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