Appena 36 anni e una carriera criminale già segnata dal coinvolgimento in tante inchieste antimafia.
Massimiliano Salvo per le forze dell’ordine è, senza giri di parole, il nuovo capo del clan Cappello all’ombra dell’Etna. Qualcuno lo ha definito «uno stratega» altri, invece, lo hanno bollato come un leader, avvezzo a muoversi soltanto se scortato dai suoi carusi. Per tutti è l’uomo che ha creato le fondamenta del salto imprenditoriale sul modello della famiglia Santapaola-Ercolano. Il palcoscenico che adesso sarebbe di Massimiliano in passato è stato occupato dal padre, l’anziano boss Pippo ‘u carruzzeri, dai fratelli Francesco e Gianpiero, il primo arrestato per estorsione e il secondo condannato in appello all’ergastolo per la strage di Catenanuova, e dalla sorella Giovanna Maria, anche lei finita nei guai con la giustizia. È però al secondogenito che si dovrebbe, secondo l’accusa, la capacità di allargare l’orbita di espansione della cosca non solo a Catania ma anche nelle province di Siracusa ed Enna. I soldi dell’organizzazione, che continua a reggersi con i proventi di droga ed estorsioni, da qualche anno girano anche nel business di rifiuti, gioco d’azzardo e ristorazione. L’ultimo capitolo di questa storia è quello scritto nelle carte dell’inchiesta Revolution bet.
Nella famiglia Salvo, Massimiliano avrebbe messo da parte le vecchie dinamiche per ritagliarsi una
notevole autonomia. A favorirlo, confermano fonti investigative a
MeridioNews, c’è l’enorme vuoto lasciato dai vecchi padrini all’interno dei Cappello. Al suo servizio negli ultimi anni si sarebbero messi soprattutto alcuni imprenditori. L’ultimo in ordine di tempo è il siracusano Fabio Lanzafame, volto della vecchia proprietà di PlanetWin365 in Sicilia che da qualche mese ha deciso di raccontare ai magistrati il legame che c’è tra la mafia e il mondo delle scommesse. E sarebbe stato proprio quest’ultimo a lanciare l’ascesa di Salvo nel settore del gioco d’azzardo. «Mi diceva che ero una persona particolarmente capace – racconta Lanzafame in un verbale – e so che si ricordava di me ai miei esordi, quando non ero ancora affermato nel settore».
Quale filo possa legare, invece, Salvo al
mercato ortofrutticolo di Catania non è ancora del tutto chiaro. I primi riferimenti si hanno nel 2014, con le dichiarazioni del pentito
Davide Seminara. L’ex picciotto di Librino spiega ai magistrati il piano che Andrea Nizza aveva in mente: «Disse durante una riunione che il suo gruppo in accordo con i Cappello, in particolare con Massimo detto ‘u carruzzeri, volevano mettere sotto estorsione tutto il mercato». Nel 2015, come emerge dai documenti di Revolution bet, Salvo si sarebbe speso per piazzare all’interno dei box del mercato i pomodorini prodotti dall’azienda agricola Sapori di Sicilia orientale, riconducibile al siracusano Salvatore Bosco.
In un dialogo intercettato, Bosco parla in un primo momento con un cugino di Salvo, il pregiudicato
Salvatore Carambia. Successivamente il telefono viene passato al titolare di un box. «Noi abbiamo un magazzino con tutti i prodotti di Pachino», gli spiega Bosco. «Io sono al mercato della frutta di Catania al posteggio 31», risponde il commerciante. Grazie alla presunta regia occulta di Salvo, datterino e ciliegino sarebbero finiti anche nei banconi dei supermercati GM, oggi sotto sequestro ma un tempo gestiti da Michele Guglielmino. «Domani alle 11 devo essere da lui – racconta Bosco a Salvo – dice che è interessatissimo». Il giorno dopo l’affare si sarebbe concluso «con un contratto per un gruppo di 16 supermercati a Misterbianco». Quando Salvo è ai domiciliari, in quello stesso anno, sotto al balcone di casa sua, in via Torre del vescovo, balla la candelora degli ortofrutticoli durante la festa di Sant’Agata.
Non solo scommesse e ortofrutta. Altro settore sui cui si focalizzerebbero gli interessi del 36enne è quello del servizio di raccolta dei rifiuti. «
Tutte cose gli ho bruciato […] perché mi devo nascondere? A me i fratelli miei lo hanno detto». Sarebbe Bosco, infatti, l’esecutore materiale di un atto intimidatorio nel gennaio del 2016 ai danni di un mezzo della società Dusty, l’azienda che all’epoca gestiva la raccolta di rifiuti a Pachino. L’episodio, il cui mandante sarebbe Massimiliano Salvo, avrebbe nascosto un piano ben più articolato per fare un favore agli amici di Catania. Un mezzo bruciato mentre era parcheggiato in una rimessa sulla provinciale 19, tra Pachino e Noto, in provincia di Siracusa, per mettere in difficoltà e tagliare fuori la Dusty dalla raccolta dei rifiuti a Misterbianco e favorire la società E. F. servizi ecologici amministrata da Vincenzo Guglielmino (arrestato nell’operazione Gorgoni con l’accusa di associazione mafiosa). I fatti, ricostruiti nei documenti dell’inchiesta Araba fenice sul clan di Salvatore Giuliano a Pachino, mostrano il primo intreccio tra la provincia etnea e quella aretusea.
E di affari si parla anche declinandoli al futuro. È il caso di un
grosso investimento che il clan avrebbe voluto fare a Milano. Un aneddoto che passa attraverso un’intercettazione del 23 dicembre 2015 tra l’ex consigliere comunale poi candidato sindaco nell’ultima tornata elettorale a Pachino
Antonio Iacona e il suo socio in tutti gli affari (che la procura ritiene illeciti) Bosco, entrambi accusati di essere i referenti del presunto boss Salvo nel Siracusano. «Mi ha detto che ci sono altre cose belle», racconta il politico. Il suo interlocutore prende la palla al balzo: «Ora te lo dice lui il fatto di Milano. C’è un affare che frutterà milioni e milioni. Sta investendo 500 e lo dobbiamo gestire io e tu». A cosa si riferivano però non è chiaro.
Un atto di estrema fiducia, forte di un rapporto consolidato: «No, tu non appartieni ai Cappello, tu appartieni a ‘
u carruzzeri». Eppure quell’amicizia inizia dopo uno scontro a muso duro. È l’antivigilia di Natale quando i due sono a Catania, nel quartiere San Giorgio per ritirare i regali da mettere sotto l’albero. Dopo avere scelto la cesta «quella buona» per Salvatore Giuliano, i due rientrano nella Mercedes ed è lo stesso Bosco a spiegare a Iacono l’origine della fratellanza con «Massimuccio». «Tu lo sai che io e Massimo (Salvo, ndr) ci siamo conosciuti in una discussione». In pratica il legame fiduciario dei due si salda dopo una litigata. «Eh, tu così con me […] non mi devi parlare, no no te lo sto dicendo, vaglielo a dire a questa spazzatura che hai là, Turi Giuliano – spiega Bosco riferendo le parole di Salvo – Quando vieni qua a Catania c’è Massimo su tutto e se lo deve mettere in testa anche lui (Giuliano, ndr) se no ce lo …(inc) nella testa…».
«Ma tu che parli così con me, ma chi è che sei?
Pulisciti la bocca e ascolta me, parla poco o non te ne faccio andare con i piedi tuoi». Questo il primo dialogo tra i due che, dopo essersi persi di vista per un periodo, si ritrovano per un affare legato ai posti nella Pescheria di Catania. «Poi io prendo il business delle cozze – continua il racconto di Bosco – e […] mi imbatto in questo ragazzo. Al momento dell’incontro non mi ha riconosciuto, poi all’indomani abbiamo preso amicizia e poi a pelle ci siamo voluti bene subito credimi. “Lascia perdere l’acqua passata, ti voglio bene, sei fratellino mio ormai“». Tanto che dalle intercettazioni emerge che Bosco sarebbe stato ospite per una decina di giorni a casa di Salvo: «Mi ero fatto la casa qui… Erano uscite discussioni con mia moglie perché lui non voleva che me ne andavo, come i fratelli».
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