Mafia, il Var per annullare corsa clandestina dei cavalli La visita a casa di Roberto Vacante: «Come in Gomorra»

La richiesta del Var e i richiami alla sportività, nel pieno di una competizione totalmente illegale. Capita anche questo nel mondo delle corse clandestine di cavalli. L’episodio è al centro dell’inchiesta Cesare della Dda di Messina e risale all’estate di quattro anni fa. Tra le strade interpoderali di Castiglione di Sicilia, il 7 agosto 2016, poco prima dell’alba, si sfidano i cavalli di Giuseppe Irrera e di Sebastiano Grillo, Ianuzzo per gli amici. Il primo è messinese, fa il fruttivendolo ed è il genero del boss di Luigi Galli: nella sua bottega, oltre a vendere ortaggi con l’accortezza di fare in modo di non avere la concorrenza di alcun ambulante, raccoglie le puntate e tiene i contatti con il veterinario che si deve occupare della cura dei cavalli. Cura che, nel mondo delle corse corse clandestine, significa quasi sempre doping. Grillo, invece, è catanese e anche lui è patito di cavalli. Per i magistrati, dietro il suo giro ci sarebbe la famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, a cui andrebbe parte dei soldi fatti con le corse. 

A farne la scoperta è lo stesso Irrera quando, meno di una settimana dopo la sfida, va a Catania per chiedere conto e ragione di quanto era avvenuto durante la corsa, con tanto di video sul cellulare a provarlo: il calesse dei catanesi era stato spinto da tre persone a bordo di uno scooter. Una scorrettezza inaccettabile, specialmente perché era costata ai messinesi decine di migliaia di euro in puntate. «Prendiamo due macchine e partiamo. Qua non si deve dormire, qua si deve chiamare e andare subito, prendi i soldi e portali indietro», gli aveva fatto presente una persona di fiducia a caldo. La trasferta all’ombra del Liotru va però organizzata. «Dobbiamo essere sicuri di avere a Catania qualcuno di spessore», replica Irrera.

Stando ai racconti dello stesso 45enne, l’auspicio viene soddisfatto ben oltre le aspettative. Dopo avere lasciato l’auto in un punto concordato con i catanesi, Irrera viene scortato a bordo di uno scooter fino alla casa di Roberto Vacante, entrato nella famiglia del capomafia ergastolano Nitto Santapaola dopo averne sposato la nipote. È qui che il 45enne messinese si rende conto degli interessi diretti di Cosa nostra nella corsa. «C’era il nipote di Santapaola, questo è agli arresti domiciliari in una casa bunker. Soldati di qua, soldati di là, telecamere», racconterà qualche giorno dopo mentre si trova all’interno della propria bottega.

Quella vissuta a Catania non è un’esperienza che capita tutti i giorni, anche per chi è ritenuto dai magistrati essere il referente del clan Galli che a Messina, dalle parti di viale Giostra, si fa rispettare. «La cosa che mi è rimasta impressa è che ci hanno fatto lasciare le macchine e ci hanno portati con le motociclette, abbiamo fatto un mare di strada. Siamo entrati in una traversa – ricorda Irrera – C’erano persone all’angolo di questa traversa, le sentinelle. Appena hanno visto, hanno fischiato e si apre un cancello. Siamo entrati dentro. Io – ammette l’uomo – ho rivisto il film Gomorra. Ho detto: “Qua se, non sia mai, fanno bordello, ci sparano, ci smantellano il cervello“».

Alla fine, però, il confronto si svolge in maniera civile. Nessuno usa armi e – nonostante la tesi difensiva, secondo cui il piede era stato allungato ma senza spingere il calesse – viene deciso che la corsa si sarebbe rifatta: i catanesi avrebbero messo 30mila euro e i messinesi nulla. Così che se i messinesi avessero vinto, la somma contesa sarebbe stata ripresa. Il 17 ottobre sull’asse Catania-Messina si svolge un’altra sfida – non è chiaro se fosse il replay di quell’annullata dalla moviola – ma, anche in questo caso, a spuntarla sono i primi. Stavolta, però, Irrera e soci riconoscono la superiorità dell’avversario, anche perché il proprio cavallo non si è presentato in buone condizioni. Anzi, stava proprio male. Al punto che Salvatore Speciale, il veterinario di fiducia finito ai domiciliari, aveva messo in guardia dal rischio che l’animale potesse morire durante la corsa. «Mi ha detto: “Lo avete fatto gareggiare con questi valori?”», commenta Irrera. Mario, il cavallo, si era «mangiato quattro milioni di globuli rossi in quattro giorni».

Riceviamo e pubblichiamo dal legale di Roberto Vacante: L’episodio narrato ha evidenti e gravi contenuti di difformità dal vero con riguardo alla asserita presenza del signor Roberto Vacante nella circostanza riportata. Egli è ininterrottamente detenuto dal gennaio 2016, e nel tempo in cui lo stesso avrebbe partecipato all’incontro descritto, era addirittura già sottoposto al regime penitenziario di cui all’art. 41 bis. Né il Vacante né la propria famiglia posseggono o hanno mai vissuto in una abitazione del tipo di quella descritta nell’articolo. Ogni ulteriore precisazione appare ultronea.

Simone Olivelli

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