Mafia, il pizzo sui lavori alle opere di Fiumara d’Arte Il ruolo di un consigliere comunale e di una cartomante

La famiglia mafiosa di Mistretta avrebbe imposto il pizzo sulla riqualificazione delle opere della fondazione Fiumara d’Arte. È quanto hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Messina, coordinati dalla Direzione distrettuale peloritana, che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 persone: tre in carcere e 11 sottoposti a obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Estorsione a danno di una coppia di imprenditori che era subentrata nell’appalto, valore a base d’asta un milione di euro e aggiudicato per 800mila, grazie a un ricorso vinto al Tar. Tra gli arrestati spicca il consigliere comunale di Mistretta, Vincenzo Tamburello, tuttora in carica. Sarebbe stato proprio quest’ultimo a ribadire la necessità della messa a posto, favorendo così la famiglia mafiosa dei Rampulla, e in particolare la «signorina»: Maria Rampulla (morta nel maggio 2016, quando le indagini erano ancora in corso) , sorella di Pietro (condannato per essere l’artificiere della strage di Capaci e all’epoca dei fatti detenuto) e di Sebastiano, storico capo della famiglia di Mistretta, morto nel 2010. Nel corso delle indagini è emerso anche il ruolo centrale di Giuseppe Lo Re, detto Pino, ritenuto intraneo all’associazione mafiosa e colpito da una misura di prevenzione personale e patrimoniale nel 2015. Nonostante il provvedimento restrittivo, quest’ultimo avrebbe continuato a gestire, tra il Messinese e Nicosia, vari locali – night club, lidi balneari, rivendita di auto -, formalmente intestati a prestanome e oggi sequestrati dali inquirenti.

Le indagini dei militari sono partite nel 2015, coordinate dai sostituti procuratori di Messina, Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio. E riguardano l’appalto per la ristrutturazione di alcune delle opere del percorso artistico Fiumara d’Arte, fondazione del mecenate Antonio Presti (noto in Sicilia anche per l’atelier sul mare a Tusa e per la Porta della Bellezza a Librino, nonché adesso impegnato nella riqualificazione del sito Le Rocce di Taormina). Gli imprenditori vittime di estorsione si erano aggiudicati, a seguito di una pronuncia del Tar di Catania derivata da un loro ricorso, l’appalto indetto dal Comune di Mistretta e finanziato con fondi dalla Comunità Europea.

Il contatto con la famiglia di Mistretta nasce, casualmente, perché l’imprenditrice, durante la fase travagliata del ricorso al Tar, convinta di poter avere informazioni sull’esito della controversia, decide di rivolgersi a una cartomante di Acquedolci, Isabella Di Bella. Ma la donna è la zia di Pino Lo Re e, fiutato il possibile affare, invita l’imprenditrice a rivolgersi al nipote, presentato come persona di rispetto e in grado di intervenire in suo favore per l’aggiudicazione dell’appalto. La coppia accetta e incontra l’uomo, ritenuto un affiliato alla famiglia di Mistretta, in uno dei suoi night club.

Lo Re gli spiega che la ditta che sui era precedentemente aggiudicata i lavori aveva «comprato» l’appalto versando 50mila euro e che egli avrebbe attivato un amico per intervenire in loro favore nella gara. È qui che entra in scena il consigliere Tamburello che incontra gli imprenditori al Comune di Mistretta e conferma la versione di Lo Re. Con l’avvenuta aggiudicazione da parte del Tar, scatta la richiesta estorsiva: 35mila euro da devolvere alla «signorina» (Maria Rampulla), che avrebbe usato quella somma per sostenere il fratello in carcere. Inoltra Lo Re avrebbe invitato la coppia ad assumere nei propri cantieri tre operai da lui indicati e a rifornirsi inizialmente per il cemento nell’impianto dei fratelli Lamonica. Quindi, li avrebbe assicurati che, assolvendo a questi obblighi, nessuno gli avrebbe chiesto più nulla e avrebbero potuto lavorare in tranquillità.

Solo molti mesi dopo, a indagini ormai ben avviate, gli imprenditori, superati i timori e compresa la caratura criminale dei soggetti con cui erano entrati in contatto, hanno integrato le prime sommarie indicazioni fornite ai carabinieri con ulteriori dettagli che hanno permesso di ricostruire completamente la vicenda.

Durante gli approfondimenti, gli investigatori hanno pure accertato che Lo Re avrebbe continuato a gestire attraverso 11 prestanomi (tutti indagati), di cui cinque stranieri, diverse attività, nonostante fosse già stato colpito in passato da una misura di prevenzione personale e patrimoniale. In particolare a lui sarebbero riconducibili due night Club, uno a Torrenova (in provincia di Messina) e uno a Nicosia (nell’Ennese), in cui avrebbe gestito personalmente il reclutamento e il pagamento delle ragazze impiegate; un lido balneare a Santo Stefano di Camastra e un’attività di compravendita di auto usate esercitata anche attraverso la vendita on line. Tutti i locali sono stati sequestrati, insieme a cinque autovetture nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di oltre due milioni di euro.

Salvo Catalano

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