Mafia, il pentito Squillaci parla di cinquanta omicidi Dal 1989 al 2007: 18 anni di delitti di Cosa nostra

Più di 50 omicidi, un ventennio di storia di Cosa nostra a Catania e decine di verità svelate. Da quando l’uomo d’onore Francesco Squillaci, detto Martiddinaha cominciato a parlare con i magistrati è come se si fossero diradati grossi banchi di nebbia che attorniavano alcuni fatti di sangue degli anni NovantaLa mafia catanese uccideva per niente – «un saluto mancato o un regalo di Natale arrivato in ritardo» – e ammazzava anche gli innocenti. Adesso, l’operazione Thor condotta dal Ros dei carabinieri ed eseguita questa mattina, su ordine della procura di Catania, accende le luci su 23 omicidi. Meno della metà di quelli a proposito dei quali il pentito ha raccontato aneddoti e dettagli, ma sui quali i magistrati hanno ottenuto riscontri.

Su tutti, il duplice omicidio di Angelo Santapaola e del suo guardaspalle Nicola Sedici, per i quali adesso sono accusati anche Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio di Nitto, Orazio Magrì e Natale Ivan Filloramo. I due vengono ammazzati il 26 settembre 2007: Vincenzo Aiello, rappresentante provinciale della famiglia, è già stato condannato all’ergastolo. Ma le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo La Causa non erano bastate a ottenere un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di chi, quel giorno, si sarebbe trovato nell’ex macello di contrada Milisinni, nei pressi della zona industriale di Catania. 

Per i magistrati, oggi, c’era anche il giovane Enzo Santapaola. «Capo della famiglia per diritto di nascita ed eredità», spiegano i magistrati. Il suo ruolo sul posto sarebbe stato quello di legittimare l’omicidio: solo un Santapaola poteva uccidere un altro Santapaola, accusato di essere troppo indipendente e di intrattenere rapporti troppo stretti con Salvatore e Sandro Lo Piccolo, capimafia palermitani. Santapaola junior sarebbe uscito dal carcere intorno al 2026, precisa la procura, ma adesso una nuova ordinanza di custodia cautelare per omicidio ne mette in discussione il ritorno a casa. L’esecutore materiale sarebbe stato Orazio Magrì, mentre Filloramo avrebbe avuto il ruolo di coautore.

Dall’omicidio eccellente a quelli meno eclatanti: Roberto Pistone (ammazzato a Catania l’8 maggio 1992) sarebbe stato ucciso da Aurelio Quattroluni e Francesco Di Grazia. Erano gli anni della guerra tra i Carcagnusi del clan Mazzei e i Cursoti. L’intervento dei Santapaola, in uno scambio di favori tra le cosche, sarebbe costato la vita a Pistone, cursoto. Stessa sorte per Santo Nunzio Tomaselli (morto il 2 marzo 1992), affiliato dei cursoti, ammazzato per gli investigatori da Natale Salvatore Fascetto, Francesco Maccarrone e Filippo Branciforte, sempre per conto dei Mazzei. Gli ultimi due sarebbero stati anche gli autori dell’assassinio di Sebastiano Villa (12 febbraio 1992), ucciso per motivi personali. Non si sa perché la vittima avesse litigato con Branciforte. 

Quando venne ammazzato Carmelo Bonanno (era il 30 dicembre 1991) si pensò che fosse ancora una volta un delitto di guerra di mafia. Lui, del resto, era un cursoto. Ma i motivi sarebbero da ricercare in alcuni litigi tra Francesco Maccarrone e suo fratello con la vittima. Maccarrone si sarebbe fatto aiutare da Giuseppe Squillaci. Francesco Lo Moro, vent’anni, era ritenuto l’autore di una rapina a un distributore di benzina dell’uomo d’onore Marcello D’Agata. Suo padre, poi, era dei Cappello. Un motivo in più per farlo fuori, il 7 giugno 1994, a Motta Sant’Anastasia. Ne è accusato Francesco Di Grazia.

Angelo Bertolo, ucciso l’1 luglio 1994, aveva commesso due errori: suo fratello aveva litigato con Giuseppe Di Giacomo, capoclan dei Laudani, e lui stesso aveva osato dire in pubblico che il clan Cappello era più importante della famiglia Santapaola-Ercolano. Lo avrebbero ucciso Nunzio Cocuzza e Nunzio Zuccaro. Antonio Maugeri venne assassinato a Belpasso il 19 settembre 1996: per l’accusa, l’ha fatto fuori Angelo Marcello Magrì. La vittima, forte del rapporto con i Tuppi di Misterbianco, aveva litigato con gli Squillaci di Piano Tavola. Era abbastanza. 

La colpa di Nicola Cirincione, eliminato a Camporotondo Etneo il 4 ottobre 1990, era di essere tossicodipendente. Dunque inaffidabile. Era un santapaoliano, del suo omicidio sono accusati Aldo Ercolano, Giuseppe Squillaci, Francesco Di Grazia, Enrico Caruso e Francesco Maccarrone. Nino Paratore (24 maggio 1991) avrebbe gestito in modo troppo indipendente il traffico di stupefacenti e si sarebbe appropriato dei soldi delle estorsioni. Il delitto è contestato a Giuseppe Squillaci e Francesco Maccarrone. Agatino Zammataro (Catania, 20 novembre 1996) aveva litigato con suo genero. Solo che il genero era il mafioso Angelo Marcello Magrì, che ordinò a Filippo Branciforte e Giovanni Cavallaro di toglierlo di mezzo.

Salvatore Calabrese e Gabriele Prestifilippo Cirimbolo furono uccisi a Catania, il 3 dicembre 1992, per mano di Filippo Branciforte e Natale Salvatore Fascetto. «L’omicidio – si legge nella nota stampa – venne eseguito su richiesta delle famiglie mafiose dell’Ennese che mal sopportavano l’autonomia criminale dei due giovani». Di avere tolto la vita a Vito Bonanno (Catania, 19 ottobre 1995) sono accusati Vincenzo Santapaola (nipote di Nitto) e Orazio Benedetto Cocimano. Il clan del malpassoto Giuseppe Pulvirenti ormai non esisteva più e i Santapaola-Ercolano volevano eliminare i cani sciolti. Pietro Grasso, ucciso a Belpasso il 22 luglio 1989 da Nicolò Roberto Natale Squillaci e Francesco Maccarrone, era dei Tuppi di Misterbianco, all’epoca in guerra con i malpassoti. 

Luigi Abate avrebbe rubato mezzi da lavoro che non doveva rubare. Aurelio Quattroluni e Francesco Di Grazia lo avrebbero eliminato il 2 gennaio 1992. La ritorsione, invece, sarebbe alla base dell’assassinio di Domenico La Rosa, avvenuto il 24 settembre 1992 e di cui è accusato Aldo Ercolano. La vittima era un rapinatore: nel 1983 aveva commesso un colpo durante il quale era rimasto ucciso il fratello di Francesco Arcidiacono, u salaru. La vendetta sarebbe arrivata, gelida, nove anni dopo.

Non sono mai stati trovati i corpi di Rosario La Spina (23 giugno 1992), Salvatore Montauro (10 luglio 1991) e Antonio Furnò (13 settembre 1990), vittime di lupara bianca. La Spina sarebbe stato ucciso da Giuseppe Squillaci e Santo Battaglia per ordine di Battaglia: sospettava che fosse un confidente delle forze dell’ordine. Montauro, eliminato a Belpasso da Francesco Di Grazia, sarebbe stato un omicidio preventivo: la vittima, vicina al clan Cappello, avrebbe potuto uccidere qualcuno dei Santapaola. Furnò, in ultimo, aveva rapinato il supermercato della persona sbagliata: sono accusati Aldo Ercolano e Francesco Di Grazia. 

C’è poi il capitolo delle vittime innocenti: Maurizio Colombrita (28 gennaio 1991) venne ucciso al cimitero di Catania perché scambiato per il fratello Giovanni, appartenente al clan Cappello. Lui, però, con la mafia non c’entrava. È accusato Aldo Ercolano. Salvatore Motta è rimasto vittima della strage di Lentini del 10 aprile 1991: un commando composto da Giuseppe Squillaci, Francesco Maccarrone, Nunzio Cocuzza e Sebastiano Nardo entrò in un bar e fu una carneficina. Ma Motta era lì per sbaglio. I bersagli erano Cirino Catalano e Salvatore Sambasile, ammazzati anche loro dai Santapaola per fare un favore agli alleati dei Nardo. 

Infine Giuseppe Torre (16 febbraio 1992): aveva vent’anni, era di Misterbianco, non c’entrava nulla. Era, però, il figlio della compagna di Tano Nicotra dei Tuppi. I Santapaola lo cercavano per ammazzarlo, ma non lo trovavano. Il basista sul territorio sarebbe stato Alfio Adornetto: avrebbe indicato alla cosca dove trovarlo. Gli uomini del clan si sono presentati da lui fingendosi carabinieri, lo hanno rapito, portato in campagna e torturato. Non sapeva niente. Lui è stato strangolato e il suo corpo è stato eliminato con il metodo dei malpassoti: bruciato insieme a una pila di copertoni, per non lasciare tracce umane riconoscibili.

Luisa Santangelo

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