Commercialista della mafia e collaboratore di giustizia amante delle auto di lusso. Due dei tratti distintivi, almeno secondo i magistrati della procura di Brescia, di Rosario Marchese. Trentatré anni e la pesante accusa di essere al vertice di una struttura mafiosa specializzata nel compiere reati finanziari grazie a un torbido incrocio di interessi. Da un lato le competenze con numeri ed F24 di alcuni colletti bianchi e dall’altro la spregiudicatezza degli uomini della Stidda di Gela trapiantati in Lombardia. Perché i suoi affari Marchese li avrebbe fatti ruotare principalmente nel territorio di Brescia. Zona in cui si era radicato dall’ottobre 2017, trasferendo la sua residenza da Gela a Lonato del Garda.
Quello di Marchese è il nome di punta dell’operazione Leonessa, ultimo atto di una carriera criminale che lo vede protagonista dal 2010. Anno a partire dal quale ha collezionato una lunga serie di accuse, compresi due anni di sorveglianza speciale. In mezzo c’è pure l’inizio di una breve collaborazione con la giustizia che, secondo i pm bresciani, poco avrebbe avuto a che fare con un pentimento vero e proprio. Per i magistrati ci sarebbero stati solo dei «calcoli utilitaristici» e a quanto pare la paura per le pesanti pretese economiche dei Mazzei nei suoi confronti. Clan capeggiato da Nuccio Mazzei per il quale Marchese si sarebbe occupato di gestire alcune pratiche illecite legate al riciclaggio di denaro.
Il core business nella nuova vita di Marchese, secondo l’accusa con il supporto degli indagati Roberto Raniolo e Angelo Fiorisi, sarebbero state le compensazioni fiscali fittizie. Offerte a una rete di imprenditori compiacenti tramite procacciatori d’affari e tre società serbatoio che sarebbero state intestate a dei prestanome. Attorno al broker calatino, stando alle accuse, c’erano pure «uomini d’onore di origine gelese di elevatissimo spessore criminale» ma, nonostante questo, l’accusa per lui è quella di essere al vertice di un clan autonomo. Tra i principali collaboratori i pm indicano il suo braccio destro Gianfranco Casassa. Origini lombarde, specializzato nell’individuare aziende in crisi in cerca di aiuto, ma anche ponte con alcuni uomini in divisa per ottenere informazioni riservate proprio sulle società che si rivolgevano al gruppo Marchese.
Marchese in questi anni non ha mai mantenuto un profilo basso. Il suo faccione, prima che il sito web venisse cancellato, compariva anche tra i componenti della Marchese Group, la holding del commercialista in cui era affiancato da diversi pregiudicati di origini siciliane, alcuni dei quali finiti indagati in questa operazione. La società a marzo scorso era finita al centro di un sequestro antimafia da 15 milioni di euro. E in quel contesto erano emersi alcuni particolari sull’ascesa del broker calatino. Tra gli aneddoti un aumento di capitale da tre milioni di euro, frutto di una misteriosa donazione di un dipinto del ‘600 appartenente al pittore fiammingo Jacob Jordaens.
Secondo gli inquirenti l’attività di riciclaggio di Marchese sarebbe stata affiancata, indirettamente, anche al prestigioso Festival di Sanremo. In due edizione, 2018 e 2019, le otto società del commercialista considerato vicino alla Stidda sponsorizzarono il Reality Festival. Una trasmissione tv-radio che durante la kermesse canora si occupa di approfondimenti e interviste. C’è poi il capitolo delle automobili targate Porsche. Alla sua Macan da 60mila euro Marchese affiancava la partecipazione al campionato italiano monomarca come finanziatore del team Rosmarc-Ghinzani. Il modello di punta, una Porsche 911 GT3, era finita in bella mostra pure all’aeroporto di Verona. Scalo dove il commercialista ritenuto vicino ai clan sponsorizzava la sala vip, oltre a possedere diversi spazi pubblicitari.
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