Mafia, gli affari di Guglielmino in Calabria e Campania «Erano scesi per spararmi, ma io tanto sono scappato»

La capacità di costruire alleanze in Campania e in Calabria, avvicinando le persone e gli ambienti giusti, facendo contare il peso della famiglia Cappello, con l’obiettivo di estendere il volume d’affari nel settore dei rifiuti in territori difficili, ma anche molto remunerativi. Un presunto talento criminale – per altro già emerso dall’ordinanza dell’inchiesta Penelope – che gli inquirenti riconoscono a Giuseppe Guglielmino, 43 anni, considerato dalla procura il dominus della munnizza del clan mafioso catanese Cappello-Bonaccorsi. L’imprenditore, già coinvolto in quell’operazione dello scorso gennaio, è stato colpito da una misura preventiva di sequestro di beni emessa dal tribunale di Catania, del valore complessivo di circa 12 milioni di euro. La ricostruzione dei giudici parte dalla Campania, precisamente dalla provincia di Caserta. Lì, nel novembre del 2012, Guglielmino intesse rapporti con due persone ritenute «storicamente riconducibili al cosiddetto clan dei Casalesi»: si tratta di Angelo Grillo e di suo figlio Roberto. Il padre, nel 2007 consigliere comunale a Marcianise, è soprannominato ‘o sceik, ed è impegnato da anni nel settore dei rifiuti attraverso la ditta Cesap e la sua controllata Ecosystem 2000 srl, in passato coinvolte in diversi procedimenti giudiziari. I suoi familiari possiedono quote di proprietà di numerose aziende. Titoli che, secondo l’informativa Penelope citata dai giudici del tribunale, sarebbero più che sufficienti a spingere gli eventi nella direzione auspicata da Guglielmino.

Tra il novembre 2012 e il maggio 2013, il 43enne catanese e i due casertani parlano al telefono delle gare d’appalto di Castello di Cisterna, Marcianise e Procida (Napoli). I servizi di intercettazione e i dati delle stazioni radio base descrivono anche un incontro a cui prendono parte Guglielmino, accompagnato dal pregiudicato Santo Strano, anche lui ritenuto elemento di spicco dei Cappello, e Angelo Grillo, nel corso del quale sarebbe stato concluso un accordo che avrebbe previsto l’istituzione di un consorzio e una quota di partecipazione fissata in circa 150mila euro. E l’impiego del metodo, ormai noto, per raccogliere il massimo dalle gare d’appalto: visto che l’accordo c’è già, e a monte, è possibile proporre un ribasso d’asta cospicuoIl maggiore esborso iniziale viene ammortizzato con il mancato pagamento di tangenti. Impresa. 

Un sodalizio che tuttavia viene mandato in frantumi, il 7 novembre 2013, dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere: quel giorno, come racconta la stampa locale, finiscono in carcere, per un caso riguardante l’Asl di Caserta, Angelo Grillo, i figli Roberto e Giuseppe e altre quattro persone. Vengono contestati, a vario titolo, i reati di concorso esterno, corruzione, abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti. «Avvalendosi del metodo mafioso e, comunque, al fine di agevolare l’associazione camorristica Belforte di Marcianise», vicina al clan dei Casalesi. Lo scrivono i magistrati campani. Angelo Grillo si trova oggi detenuto al carcere di Parma. Il 14 novembre 2013 Guglielmino ne parla al telefono con la ex moglie Catia Maria Caruso: «Hanno arrestato i casertani! A padre, a figlio, a nipote… a tutti». Il giorno prima, con un sms, il catanese aveva avvertito anche la cognata Biagina Caruso, di Geo Ambiente srl: «Ok. Dopo nn (non) chiamare più la famiglia Grillo. Tt (tutti) arrestati». 

Quanto alla Calabria, i documenti del tribunale di Catania lasciano emergere una presunta strategia di penetrazione quasi identica: Guglielmino selezionerebbe, tra i possibili legami, quelli con soggetti che appartengono alla criminalità locale e che hanno la possibilità di interloquire che gli enti pubblici. Secondo i giudici, è il caso Salvatore Aiello, «indicato – si legge nell’informativa Penelope – come avvicinato alla famiglia di ‘ndrangheta dei Commisso di Siderno (Reggio Calabria)», a cui Guglielmino, in una conversazione telefonica registrata dagli investigatori, si appella affinché faccia dare una calmata al sindaco di Soverato, altro Comune in provincia di Reggio. Quattro mesi dopo, in una conversazione captata all’interno dell sua auto, l’imprenditore catanese aggiunge: «Io all’epoca nel 2010, solo entrato solo in un paese, appena sono entrato ho preso tutta la Calabria […], ho fatto un terremoto nell’immondizia perché qua li ho lasciati a tutti quanti senza lavoro». Il riferimento è alle ‘ndrine calabresi, che condizionano fin nelle viscere il tessuto economico calabrese, compreso il settore dei rifiuti. E non vedono di buon occhio le decine di appalti, in altrettanti Comuni, assegnati a Geo Ambiente

In effetti non sono tutte rose e fiori. Il territorio reagisce al protagonismo del catanese. Ci sono furgoni bruciati, minacce più o meno velate e addirittura un possibile tentativo di omicidio, come spiega lo stesso Guglielmino in un’altra registrazione telefonica: «[…] erano scesi per spararmi, io li ho fottuti, ci sono andato all’incontro, poi quando sono uscito da lì dentro gli ho detto “un attimo, sto andando in bagno”, me ne sono salito al secondo piano, era un centro commerciale, sono uscito dalla porta di emergenza e me ne sono andato». Un’escalation dinnanzi alla quale, secondo i pm etnei, il clan Cappello-Bonaccorsi fa muro a sua difesa. «L’impegno profuso – scrivono gli investigatori – da Maria Campagna (compagna del boss Salvatore Cappello) e Santo Strano certifica ancora una volta che quest’ultimo (Guglielmino) opera per conto e nell’interesse del clan». Una circostanza che, a detta dei giudici della sezione Misure di prevenzione, rafforza la necessità del sequestro effettuato alcuni giorni fa.

Marco Militello

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