Piena proprietà dello Stato. Dietro a quattro parole c’è una vicenda giudiziaria che dura da anni e che, adesso, si chiude con una confisca del valore stimato di 4,5 milioni di euro. Sono i beni del pregiudicato catanese Salvatore Lo Miglio, ritenuto contiguo ai clan mafiosi Santapaola e Laudani. «Soggetto con qualificata pericolosità sociale», lo definiscono gli inquirenti che, adesso, gli portano via quello che ha: tre case a Letojanni (provincia di Messina), tre a San Giovanni La Punta (inclusa una villa di lusso), una a Misterbianco, quattro garage, due botteghe, un deposito e sette appartamenti. In più c’erano anche un’automobile, una moto e il saldo di un conto corrente postale. Il tutto sebbene lui, al momento dell’inizio degli accertamenti, formulasse una dichiarazione dei redditi da 40mila euro.
Un piccolo impero – suo e del suo nucleo familiare – emerso nel 2014 a seguito dell’operazione Money lender di squadra mobile e guardia di finanza. Nota per avere coinvolto la famiglia Bosco, gli imprenditori dei supermercati, accusati di essere parte attiva e promotori di un giro di minacce e usura attorno a cui avrebbe orbitato anche la criminalità organizzata. È in quel contesto che emerge il nome di Lo Miglio, accusato di usura aggravata.
A lui le forze dell’ordine contestano il ruolo di finanziatore dei prestiti usurati. Le indagini avrebbero rilevato due episodi – uno sul finire del 2006, l’altro nel 2008 – in cui Lo Miglio avrebbe fornito del denaro ad Antonino Cuntrò (classe 1961), cugino dei fratelli Bosco e, assieme a loro, protagonista di una confisca da 15 milioni di euro. Il soldi di Lo Miglio, tramite Cuntrò, sarebbero serviti per prestare denaro alle vittime – in genere, imprenditori del settore edile in stato di bisogno – che poi avrebbero dovuto restituirlo con interessi esorbitanti.
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