Rinviati a giudizio, a vario titolo, per corruzione, turbativa d’asta e associazione mafiosa. L’ultimo tassello dell’inchiesta Gorgoni sulla gestione dei rifiuti nei Comuni etnei di Aci Catena, Trecastagni e Misterbianco passa per la decisione della giudice per l’udienza preliminare Simona Ragazzi. Andranno a processo, con prima udienza fissata per il 16 ottobre davanti alla prima sezione penale, l’ex sindaco catenoto Ascenzio Maesano, già condannato in secondo grado per tangenti, e l’imprenditore Rodolfo Briganti, ex vertice della società di raccolta rifiuti Senesi. Con loro anche il giornalista Salvo Alfio Cutuli. Dovrà rispondere di mafia, invece, Vincenzo Guglielmino, (padre di Giuseppe coinvolto nel blitz Penelope, ndr). L’uomo, durante per il periodo dell’inchiesta, al vertice delle società E. F. servizi ecologici e Meridiana. A Misterbianco Guglielmino avrebbe beneficiato dei servizi di Orazio Condorelli, all’epoca dei fatti dirigente comunale del settore Ecologia e adesso mandato a processo. «Quale pubblico ufficiale – si legge nell’avviso di conclusione indagini – riceveva svariate somme di denaro tra cui 20mila euro per l’acquisto di un immobile a Livorno». In cambio Guglielmino avrebbe beneficato addirittura dell’aggiudicazione dell’appalto nonostante «l’assenza della documentazione antimafia della ditta E. F.».
Volti dei clan, secondo l’accusa, sarebbero stati Lucio Pappalardo e Giuseppe Grasso. Il primo, sulla carta titolare di un laboratorio di prodotti dolciari ma per gli inquirenti ritenuto esponente dei Laudani, si sarebbe fatto carico di mediare tra l’allora sindaco di Aci Catena e il clan Cappello. Maesano si sarebbe mosso «in maniera disinvolta» in un contesto in cui, per l’accusa, sarebbe stato la figura di collegamento tra mafia, imprenditoria e politica. Al centro della vicenda finisce la fine dell’appalto ad Aci Catena, da parte di E. F., e l’affidamento a Senesi. L’azienda di Guglielmino sarebbe voluta rientrare in pista e per riuscirci l’imprenditore, siamo nel 20015, si sarebbe rivolto direttamente a Massimiliano Salvo, presunto capomafia al vertice del clan Cappello. Dopo la richiesta, stando alla ricostruzione delle pm etnee Antonella Barrera e Barbara Tiziana Laudani, si sarebbero susseguiti gli incontri tra i clan e l’amministrazione catenota «per trovare una soluzione».
L’imprenditore Guglielmino avrebbe beneficiato anche della complicità di alcuni funzionari pubblici del Comune di Trecastagni, ente che oggi ha il Consiglio comunale sciolto proprio per le presunte infiltrazioni della criminalità organizzata. A processo andranno Orazio Sgarlato e Antonio Astuto. Entrambi, secondo i magistrati della procura di Catania, si sarebbero adoperati per turbare la gara, inserendo nel bando alcune prescrizioni spifferate da Guglielmino, così da favorirne la vittoria finale.
Sette tra la persone coinvolte nell’inchiesta proseguiranno la loro strada giudiziaria con il processo con rito abbreviato. Si tratta di Pietro Garozzo, Vincenzo Papaserio, Fabio Santoro, Luca Santoro, Raffaele Scalia e Davide Scuderi e Salvatore Carambia. Garozzo, accusato di associazione mafiosa. Ex responsabile del personale per l’azienda Officine meccaniche, che per il Comune di Catania si occupa della manutenzione del mezzi deputati al servizio di nettezza urbana, si sarebbe adoperato per portare avanti gli interessi del clan Cappello e del presunto boss Massimiliano Salvo.
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