«Appena tu parti, a questi te li metti tutti da parte. C’è il mio nome, e sanno che sei mio figlio». Consigli, rassicurazioni e parole di incoraggiamento. È così che Giuseppe Pellegrino – il leader dell’omonimo gruppo criminale, conosciuto a Messina con l’epiteto di Arancini e sodale del clan Spartà, oggetto oggi di un sequestro da cinque milioni di euro da parte della Dia – si rivolgeva al figlio Manuel. Come a uno dei tanti neet siciliani, che, senza un’occupazione né un percorso di formazione, si trovano a chiedersi che fare della propria vita. Il giovane, però, a sentire il padre non avrebbe dovuto faticare più di tanto per avviare la propria attività in quel settore, le onoranze funebri, che già a lui aveva fruttato parecchio. Tutto ciò non per via di spiccate capacità imprenditoriali, quanto per le facilitazioni di cui avrebbe potuto godere grazie a buoni uffici che lo stesso Pellegrino, nel corso degli anni, la maggior parte dei quali trascorsi in carcere, era riuscito a creare.
A partire dai legami con il clan catanese dei D’Emanuele, che nel centro etneo detengono la leadership nel settore e vantano un legame con la famiglia Santapaola–Ercolano. Natale D’Emanuele (il capo 73enne della cosca, ndr) è infatti cugino del boss ergastolano Nitto Santapaola. «Il padre è in galera e sta scontando un omicidio – racconta Pellegrino al figlio, nel corso di un colloquio in carcere intercettato nell’estate 2012 -. Siamo in contatto, non ci conosciamo personalmente, però nella stanza con me c’è suo nipote e poi siamo stati sempre amici». Al giovane Manuel sarebbe bastato semplicemente presentarsi a Catania, andando dalle parti del castello Ursino, nelle cui vicinanze si trovano le attività dei D’Emanuele. Lì, tra gli altri, avrebbe trovato tale Nino Di Maria. «[Lui] è a Catania a Castello Ursino, ti ricordi Castello Ursino? – chiede Pellegrino al figlio -. Qua stiamo parlando di lavoro, ti vuoi fare una camminata, vai là e gli dici: “Io voglio fare così, così”». E, se il caso lo avesse richiesto, Manuel avrebbe potuto spendere il nome del padre. «Gli devi dire: “Nella stanza con mio padre c’è […] lui si ricorda di me perché mi mandavano i morti da Catania quando li dovevo tumulare a Mili».
Dalle parole di Pellegrino, il cui spessore criminale è riconosciuto anche da collaboratori di giustizia del calibro di Carmelo D’Amico, emerge una certa riconoscenza nei confronti dei clan catanesi. Rapporto d’amicizia che consentiva anche di soprassedere l’aspetto economico. «Glieli facevo io i lavori, non mi sono mai preso soldi, poi loro quello che mi davano, mi davano. Io gli dimostravo l’amicizia, hai capito?», sottolinea al figlio.
Pellegrino jr, tuttavia, pur avendo iniziato l’attività, a un tratto sarebbe stato titubante sul futuro della stessa. Anche per via di alcuni incontri che il giovane avrebbe avuto con altri concorrenti. È qui che il padre interviene assicurandogli di non dover temere nulla. «Se parti ti saltano di sopra e tu non devi dare spazio a nessuno. Noi abbiamo le porte aperte, loro le hanno chiuse», dice l’uomo al figlio. Prima di invogliarlo ulteriormente a essere intraprendente. «Se tu capiti quelle famiglie che ti mandano a chiamare, tu gli fai il prezzo se ti sta bene, non si deve permettere nessuno di andare dalla famiglia a prenderti il lavoro – continua -. Prendi e gli rompi le corna, capito? Tu non vai da loro e loro non devono venire da te». Anche perché, ricorda Pellegrino al giovane Manuel, «c’è il mio nome e sanno che sei mio figlio».
Delle possibili reticenze del figlio ad affrontare le inevitabili difficoltà di chi si immette nel mondo degli affari, l’uomo ne parla anche alla cognata. Alla quale fa presente come «l’ambasciata» mandata a Catania ai D’Emanuele per dare una mano a Manuel abbia dato i suoi frutti. «Ti voglio dire una cosa, Teresa. Se non parte lui non arriverà mai – confida Pellegrino -. Lui dove va va, le porte le avrà aperte. Pensa che io ho già mandato l’ambasciata a Catania, il più grosso di Catania (il riferimento è all’egemonia dei D’Emanuele nel settore delle onoranze funebri, ndr), ma dov’è il problema, gli danno pure la macchina…»
I tentativi di spronare il figlio non finiscono qui. «Fatti un ufficio per conto tuo, là dove c’è la macelleria – gli suggerisce -. Il punto di riferimento te lo devi fare là. Devi essere tu quello che dirige la situazione, ti fai un numero di telefono, e poi ti faccio vedere come parti. Perché le amicizie ci sono dovunque vai, un po’ di rispetto ce l’hai». Dritte che alla fine portano Manuel Pellegrino a costituire la Edil Valley, società tra quelle oggetto del sequestro di oggi, che ha operato nei cimiteri a sud di Messina. Fatto il grande passo, a Giuseppe Pellegrino non rimaneva altro che spiegare al figlio come riuscire ad accaparrarsi quanti più lavori possibili. Anche in questo caso, Manuel avrebbe dovuto guardare alla città di Catania e ai D’Emanuele. Magari passando dal loro cugino di secondo grado Enzo Ercolano. «È uscito circa sei mesi fa. È buono, pure per conoscenza, lui è un amico. Vai con Enzo e ti fai una camminata, tanto per conoscervi. Quando c’è una salma che entra da Catania a Messina, lui chiama te a fare il lavoro, te li porta tutti», garantisce l’uomo.
Che, tuttavia, pur avendo fatto del figlio un imprenditore, non smette di scuoterlo. «Lo vuoi capire o no. Tanto che ti costa farti una passeggiata, perché ti servono queste cose e basta. Hai capito?», chiede al giovane.
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