Mafia, duro colpo ai Santapaola-Ercolano Decisivi i nuovi pentiti La Causa e Mirabile

«Questo è il segno di come stiamo lavorando, non aspettiamo di portare a termine operazioni complessive, ma agiamo a mano a mano che vengono fuori nuovi elementi». Di nuovi elementi sulle attività di Cosa Nostra in città, di cui parla il procuratore capo di Catania Giovanni Salvi, ne sono venuti fuori molti oggi. Per prima cosa le ordinanze di custodia cautelare in carcere per Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio del boss Nitto, già al 41 bis, e per tre nipoti di Pippo Ercolano, Mario, Salvatore e Aldo. Quindi la risoluzione di due omicidi eccellenti che negli anni scorsi avevano rotto gli equilibri all’interno di Cosa Nostra catanese, quelli di Gianbattista Motta e Sebastiano Paratore. Infine l’arresto di un altro storico boss ed ex pentito della zona di Paternò, Giuseppe Alleruzzo.

Le operazioni rientrano nel quadro di indagini, ancora non concluse, che la Procura sta svolgendo attorno agli interessi del clan Santapaola-Ercolano. Un decisivo aiuto per gli

Aldo Ercolano 

investigatori è venuto dalle dichiarazioni di due nuovi pentiti Santo La Causa, che ha deposto anche nell’inchiesta Iblis, e Giuseppe Mirabilei cui verbali sono stati depositati nella penultima udienza del processo a carico del governatore Raffaele Lombardo. «Li riteniamo affidabili – spiega Salvi – abbiamo già ottenuto importanti risultati riuscendo a fare luce su un periodo significativo del clan sia per quanto riguarda l’organizzazione interna, sia nei rapporti con le altre famiglie. Ma ci aspettiamo ancora molto da loro».

Vincenzo Salvatore Santapaola 

I nomi eccellenti delle ultime operazioni sono dunque quelli di Vincenzo Salvatore Santapaola, 43 anni, il figlio maggiore del boss Nitto, e dei tre Ercolano, Aldo di 38 anni, Salvatore, 34 anni e Mario, 36 anni. Quest’ultimo già in carcere. I quattro sono accusati del reato di intestazione fittizia di beni. Erano loro i veri proprietari di una rete di attività commerciali e società affidate a prestanome. Gli Ercolano controllavano un Cash and Carry e un autosalone a San Gregorio. Quest’ultimo risultava di proprietà di Pierluigi Di Paola, anche lui arrestato ieri. Ci sarebbe invece Vincenzo Santapaola, arrestato nell’operazione Iblis e attualmente rinchiuso nel carcere di

Mario Ercolano 

Rebibbia a Roma da dove lamenta un isolamento eccessivo, dietro il ristorante Sapori di casa a San Giovanni la Punta. Tutte le società e le imprese in questione sono state poste sotto sequestro.

Contemporaneamente il pool di magistrati della Dda, guidato da Carmelo Zuccaro, ha messo la parola fine su due omicidi che rimanevano ancora parzialmente irrisolti, facendo luce sulle intricate trame criminali all’origine dei delitti. Il 3 giugno del 2007 veniva ucciso Giovanbattista Motta, esponente di spicco della cosca dei Mazzei. Qualche giorno dopo a cadere sotto i colpi di pistola è Nuccio Aurora, uomo molto conosciuto del clan Santapaola. A fine estate, il 30 settembre, vengono trovati carbonizzati nelle campagne di Ramacca i corpi di Angelo Santapaola e Nicola Sedici. «Un periodo molto complicato – rivela il pm Agata Santonocito – che ci mise in ansia». Adesso la Procura traccia un filo unico tra tutte queste morti. L’omicidio Motta fu deciso da Angelo Santapaola per rafforzare la sua posizione nei confronti dei Mazzei. «Ma quello che c’è dietro – spiega Santonicto – possiamo definirlo una tragedia alla santapaoliana», ricostruita grazie al racconto «coerente» del pentito La Causa.

Angelo chiede al cugino Enzo Santapaola, allora reggente, il permesso di colpire il clan Mazzei. In realtà, però, il designato ad essere ucciso non era Motta. Uno sgarro – Motta ruba un’auto al braccio destro di Angelo Santapaola non restituendola – ne decreta la morte. Ci sono altri due collaboratori, testimoni oculari dell’ordine impartito da Angelo Santapaola ai

Luciano Musumeci

killer Luciano Musumeci e Nicola Sedici. La novità di oggi sta proprio nell’ordinanza di custodia cautelare per Musumeci, noto come patata, già in carcere e condannato per l’estorsione all’imprenditore Andrea Vecchio. Dietro il consenso di Enzo Santapaola all’omicidio c’è però un piano preciso che mira a confondere gli investigatori. Enzo infatti ha deciso di eliminare il cugino Angelo e prova a far credere che quella morte sia una risposta all’omicidio di un esponente dei Mazzei. In verità si tratta di questioni interne allo stesso clan. Angelo Santapaola, infatti aveva assunto un atteggiamento tracotante creando malcontento all’interno della famiglia e della criminalità organizzata cittadina in generale.

L’altro omicidio risolto è quello di Sebastiano Paratore, ucciso nel marzo del 2005, il cui corpo fu bruciato e abbandonato nelle campagne di Acicatena. Oggi i pubblici ministeri spiegano che quella morte fu causata da un atteggiamento disdicevole verso una donna. Paratore era un piccolo esponente del gruppo di Carmelo Puglisi, ritenuto esponente di rango dei Santapaola. Il suo errore fu di fare delle avance alla moglie di un ergastolano a cui portava i soldi a casa. È la stessa donna ad andare a lamentarsi con Puglisi che fa nascondere un suo uomo in casa della signora scoprendo la verità. Nonostante Paratore e Puglisi fossero

Sapori di casa, il ristorante sequestrato 

parenti alla lontana – si chiamavano cugini – il suo destino è segnato. Puglisi dà l’ordine di ucciderlo per mostrare al resto dell’organizzazione che, se c’è bisogno di «calari u itu», pollice versus, con uno di famiglia, lui non si tira indietro. Per questo omicidio è già stato condannato in via definitiva Alfio Catania, ora è scattata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere anche per Carmelo Puglisi, 48 anni e Orazio Magrì, 41. Puglisi fu arrestato l’8 ottobre del 2009 in una villetta di Belpasso mentre si teneva una riunione con i maggiori esponenti di Cosa Nostra etnea, tra cui l’attuale pentito e allora reggente operativo della famiglia, Santo La Causa. Magrì è ritenuto killer senza scrupoli della famiglia Ercolano- Santapaola, è tuttora latitante, ricercato da luglio scorso.

Infine l’arresto del boss Giuseppe Alleruzzo, 77 anni, pure lui vicino ai Santapaola, protagonista della faida che insanguinò Paternò e i paesi limitrofi tra il 1975 e il 1987, ed ex pentito dopo gli omicidi della moglie e del figlio a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nell’estate del 1987. Gli investigatori hanno trovato un arsenale disseminato tra il casolare dove viveva e la campagna. Sette fucili, di cui due a canne mozze, dieci pistole, pronte all’uso e quasi nuove, 800 munizioni e 400 grammi di cocaina, interrate nella campagna e nascoste in mezzo ai fichi d’india. Era uscito dal carcere nel 2009 dopo 23 anni ed era tornato in attività per ricomporre il suo gruppo criminale.

«Questi arresti – sottolinea Salvi – dimostrano che l’organizzazione criminale è ancora pericolosa e dispone di molte armi. Ma confidiamo nell’aiuto dei nuovi testimoni di giustizia per ottenere presto altri importanti risultati».

Salvo Catalano

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