Conferma della condanna di primo grado a 12 anni di carcere per associazione mafiosa. È questo l’esito della sentenza della corte d’appello di Catania nel processo al presunto capomafia del clan Cappello Orazio Finocchiaro detto Iattaredda. A leggere l’ordinanza è stata la terza sezione presieduta dalla presidente Carolina Tafuri con a latere i giudici Carrubba e Muscarella. L’imputato è stato scagionato dall’accusa di essere stato l’organizzatore di un attentato contro il magistrato della procura etnea Pasquale Pacifico. A fare emergere il presunto piano era stato il ritrovamento di due bigliettini in cui si intimava l’eliminazione del togato. Un omicidio eclatante che, secondo l’accusa, era stato commissionato dal carcere da Finocchiaro per scalare le gerarchie mafiose del clan etneo d’appartenenza.
Al centro del processo e di diverse perizie tecniche c’è stata la paternità dei pizzini. Quando vennero scoperti si pensò a uno scambio delle missive tra lo stesso Finocchiaro e il detenuto Giacomo Cosenza, che sarebbe stato l’incaricato a dovere commettere il delitto. Negli anni diversi collaboratori di giustizia hanno tracciato il presunto profilo mafioso di Finocchiaro. L’ex reggente dei Cappello Gaetano D’Aquino, poi diventato collaboratore di giustizia, lo ha indicato come uno degli uomini di maggiore peso all’interno del clan. «Ricordo che partecipò alla riunione al lido The King – raccontava il pentito ai magistrati – nel corso del quale si decise di dare un’ultima possibilità a Sebastiano Lo Giudice». Le dichiarazioni di un altro pentito, Natale Cavallaro, accusavano Finocchiaro di essere il gestore di una piazza di spaccio «insieme a Paolo Ferrera».
Le cose le decido io, dentro e fuori
Cavallaro nel corso di un interrogatorio risalente al 2010 consegnò ai magistrati anche una lettera che avrebbe ricevuto dal carcere direttamente da Finocchiaro. Un testo in cui il presunto boss si sarebbe autoproclamato come capo: «Di ora in poi vedi che le cose le decido io dentro e fuori, per tutto e tutti visto che mio compare non c’è presente come dovrebbe essere
mi ha lasciato detto come già si sapeva che sono io a parlare di tutto e per tutti. Ciao ti voglio bene Orazio». Le disposizioni dal carcere sarebbero proseguite anche con l’aiuto della madre di Finocchiaro. È il 30 settembre 2011 quando Maria Bonnici avrebbe fatto da tramite per informare il cugino Giovanni Musumeci di inviare più soldi a al detenuto ergastolano Ignazio Bonaccorsi. «Vedi che quello ha pure suo figlio è in carcere e con mille euro sua moglie non ci può arrivare mai».
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