Latitante da un anno, dopo che era stato raggiunto da due ordinanze di custodia cautelare per i reati di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e traffico illecito di stupefacenti. Sebastiano Mazzei è soprattutto il reggente del clan che prende il nome da suo padre Santo, divenuto uomo d’onore su decisione del boss corleonese Leoluca Bagarella. Detto Nuccio ‘u carcagnusu, è stato arrestato oggi nel territorio di Ragalna, alle pendici dell’Etna in provincia di Catania. Il pregiudicato, classe 1972, si era reso irreperibile nel 2014, dopo l’operazione antimafia Scarface.
Gli uomini della squadra mobile etnea, coordinati dalla direzione distrettuale antimafia, lo hanno fermato all’interno di una villa dotata di tutti i comfort: «Vi assicuro che era in una posizione davvero anonima — spiega il dirigente della squadra mobile Antonio Salvago — poiché posizionata in una sorta di vicolo ceco». A fargli compagnia oltre alla moglie Enza Scalia, c’era un cane di nome Michael. Un nome scelto non casualmente, ma riconducibile al personaggio del film Il padrino, Michael Corleone. Ad emergere ancora una volta è quindi il mito dei nuovi boss di Cosa nostra verso determinate pellicole, basti ricordare il progetto della villa e il trono sul modello Scarface di proprietà di William Cerbo, ritenuto uno degli elementi più fidati proprio di Mazzei ed arrestato lo scorso anno.
All’interno della villetta, affidata al boss latitante tramite una sorta di intermediario che l’aveva presa in locazione, c’erano anche alcuni telefonini e, nella camera da letto sotto il materasso un’accetta. Proprio sui dispositivi mobili sono in corso ulteriori indagini da parte degli inquirenti. Da decifrare con certezza c’è una sicura rete di fiancheggiatori che durante questi mesi ha coperto la latitanza. A tradire il boss la scelta di «restare inevitabilmente a contatto con il proprio territorio per continuare a gestire la cosca», prosegue Salvago.
«La battaglia —
precisa il procuratore capo Giovanni Salvi — è ancora lunga. C’è una continua rincorsa a queste organizzazioni che cercano sempre di riorganizzarsi». Mazzei, che non ha opposto resistenza al momento dell’arresto, «come gli esponenti di spicco della mafia», viene descritto come un personaggio che «volutamente ha mantenuto negli anni un profilo basso riuscendo così ad entrare a pieno titolo in maniera illecita nell’economia legale».
L’ormai ex latitante vanta una lunga militanza tra le fila della cosca di cui porta il nome. Che, storicamente, è vicina all’area palermitana di Cosa nostra. E, in particolare, al killer di Corleone oggi pluri-ergastolano Leoluca Bagarella.
Il padre, Santo Mazzei, negli anni Ottanta, militava nella cosca etnea dei Cursoti. Ma si era contrapposto alla frangia capeggiata da Giuseppe Garozzo, detto Pippu ‘u maritato, e aveva lasciato il clan. Per stringere un’alleanza con l’ala stragista di Cosa nostra palermitana, guidata — dopo l’arresto di Totò Riina — da Leoluca Bagarella prima e da Vito Vitale poi. Come il figlio, anche Santo ‘u carcagnusu era stato arrestato a Ragalna, dopo un periodo di latitanza. In quell’occasione — era il novembre 1992 — Santo Mazzei aveva con sé un revolver 357 magnum. Pochi mesi prima, a Catania, era stato nominato uomo d’onore, alla presenza dello stesso Bagarella, di Antonino Gioè e di Giovanni Brusca. Tutti arrivati appositamente da Palermo per imporre la leadership della famiglia Mazzei quale referente dei corleonesi.
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