Mafia, ancora un blitz contro Libera Lazio Turri: «Abbiamo alzato il tiro. E’ scontro»

«Se non avessero risposto, avrei pensato che non gli diamo fastidio». Così Antonio Turri commenta il nuovo atto vandalico di ieri contro una sede di Libera nel Lazio, precisamente a Sabaudia. La prima del nuovo anno, dopo le quattro devastazioni subite nel 2011 dal Campo della legalità di Borgo Sabotino, a Latina, intitolato all’avvocato catanese Serafino Famà. Una vera e propria escalation. «Abbiamo alzato il tiro attaccando la cosiddetta zona grigia – continua il referente laziale dell’associazione antimafia –, cioè il livello politico e imprenditoriale. Abbiamo lanciato l’idea del conflitto, dello scontro». Qui c’è poca sociologia e ancora meno parole, ma molti fatti. Soprattutto costanti: «Perché, se uno fa il mafioso, lo fa di mestiere, 365 giorni all’anno. E così dev’essere l’antimafia». Una pressione puntuale alla legalità, ancora più necessaria quando per strada si comincia a sparare, come nel Lazio ormai succede da mesi. Anche ad opera dei catanesi legati al clan dei Santapaola.

Quella contro la sede di Sabaudia – aperta appena sei mesi fa – è un’azione che Turri definisce «inquietante». Perché formalmente si tratta di un furto, ma più simbolico che reale. Ad essere state sottratte sono state infatti delle cartelline con l’etichetta del Comune – la sede ospitava prima la Consulta dei giovani –, un fascio di volantini di un’iniziativa di Libera a Roma e dei libri sempre relativi alle attività dell’associazione. Uno sfregio. «La porta, infine, è stata spaccata con una tronchesi – continua Turri – come per dire “ti entro in casa quando voglio”». Un chiaro messaggio intimidatorio che a volte sortisce i suoi effetti. «Capita spesso che qualcuno dopo si allontani o i genitori vengano a parlarti preoccupati della sicurezza dei loro figli – racconta l’ex poliziotto, da anni impegnato nell’antimafia – Ma per ognuno che va via ne arrivano altri dieci», spiega soddisfatto.

Sabaudia, poi, non è una città come le altre. Vicina a Roma, è la sede estiva del potere. «Luogo di vacanza e villeggiatura dei politici e dei romani che contano – sottolinea Turri – permette frequentazioni di alto livello». E attrae interessi non trascurabili in ambito turistico ed edilizio. Senza tralasciare che la città di Pierpaolo Pasolini e Alberto Moravia, capitale del parco nazionale del Circeo è poi «un simbolo di potere, irrinunciabile per le mafie». Che «prima vivevano nel silenzio, come sempre. Noi abbiamo deciso di romperlo», continua il referente. Con un’attività di monitoraggio costante. Coinvolgendo la stampa nazionale e denunciando caso per caso: dal bar di proprietà di un mafioso al sorvegliato speciale che viola la legge scorrazzando in macchina senza patente. Per questo motivo, per Libera, una sede a Sabaudia era irrinunciabile. Una risposta pacifica al controllo mafioso del territorio.

Che è anche un controllo sociale. «A cui è necessario dare una risposta – continua Turri – Noi attuiamo un metodo quasi scientifico. Se sappiamo che le mafie pagano qualcuno in nero per lavorare, ad esempio, lo contattiamo e gli paghiamo i contributi». O ancora, Libera prevede una manifestazione e i mafiosi rispondono con una devastazione? Le iniziative diventano tre. Un’opposizione totale. «Che, da ex poliziotto, sono convinto che non possa essere solo delle forze dell’ordine e dei magistrati sui casi singoli – continua – ma anche culturale, caparbia, seppur non violenta». Quasi una provocazione? «Per me è più una difesa, che dev’essere preventiva. Perché la lamentela dello sconfitto la trovo perfettamente inutile».

Antimafia dei fatti, quindi. Una prova di forza, ma con armi diverse. E’ questo il metodo di Libera Lazio. «Altrimenti che faccio, scrivo pure io un libro e lo pubblicizzo con quattro passaggi in tv?».

[Foto di Libera]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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