Domenico La Valle leader e mente imprenditoriale del clan Mangialupi. È questo il ritratto che emerge dall’operazione Dominio, scattata ieri a Messina. Uscito indenne da altre accuse e processi a suo carico, i due anni di indagine permettono di delineare la caratura criminale dell’imprenditore. E attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, gli investigatori troverebbero conferma di quanto detto da alcuni collaboratori di giustizia: e cioè che La Valle nel tempo avrebbe scalato i vertici del clan, grazie anche agli arresti degli altri leader.
Sarebbe lui a gestire, «avvalendosi dell’apporto qualificato di uomini di sua fiducia – quali Paolo De Domenico e Francesco Laganà -, diverse attività economiche: due società di noleggio di apparecchi da gioco, una sala giochi, un distributore di carburanti, una rivendita di generi di monopolio, tutti formalmente intestati a familiari e a terze persone compiacenti, tra i quali Antonino Scimone, Giancarlo Mercieca e Francesco Benanti, al fine di scongiurare il rischio di essere colpito da procedimenti giudiziari di sequestro e confisca».
Intestazioni che non gli hanno evitato il sequestro di beni per oltre 10 milioni di euro, secondo gli inquirenti tutti a lui riconducibili. Patrimonio e disponibilità finanziarie ritenuti «incompatibili con il profitto derivante dallo svolgimento di attività lecite». Per la gip Monia De Francesco, «il modus operandi di La Valle è di stampo tipicamente mafioso in quanto volto ad ottenere il controllo del territorio attraverso forme di intimidazione, esplicite o larvate, tali da determinare, nel contesto territoriale di riferimento, un diffuso clima di omertà e sottomissione».
Secondo quanto emerso dalle indagini, la base del clan era il Bar La Valle, a due passi dal Policlinico. E a pochi metri dal distributore di carburante dove sarebbe stata custodita la cassa continua dell’organizzazione. Qui, in una botola, la Finanza ha trovato oltre 140mila euro in contanti.
I tentacoli della criminalità organizzata nel settore dei videoslot e delle scomesse si sarebbero estesi grazie a società fittiziamente intestate a prestanome. Tra queste c’è la ditta individuale Scimone Antonino, sequestrata ieri. Quando qualche esercente minacciava di cambiare il gestore delle macchinette installate nella propria attività, sarebbe stato La Valle in persona a intervenire, bloccando ogni tentativo. «Chiarisci – diceva a Scimone – che io sono sempre quello: Mimmo La Valle! Chi lo sa, non sia mai Dio pensa qualcuno qualcosa di strano».
Altro esercizio commerciale che nel corso dell’attività investigativa è risultato riconducibile a La Valle, è la sola giochi denominata Sala Centonze, al civico 66 dell’omonima via. Sigilli sono scattati per la quota societaria pari al 33,33 per cento del Laboratorio Pasticceria F.Ili La Valle di Giovanni & C s.n.c, cioè il bar che sarebbe stata la base logistica del clan. Sequestrati pure 18 immobili, tra cui una villa con piscina in contrada Marmora a Rodia, un villaggio marino a nord di Messina; un appartamento con attico a Messina; una rivendita di generi di monopolio e un gommone. Sotto chiave infine 159 apparecchi video poker sequestrati nella sala biliardi il Dollaro, presso il bar Salvuccio, e ancora al circolo Il Cavallino.
A raccontare l’ascesa dell’imprenditore sono anche i collaboratori di giustizia. «Mimmo La Valle – ha raccontato Giuseppe Orlando – si occupava della gestione del settore dei video giochi per conto dell’organizzazione». E lo faceva fornendo «ai circoli videopoker truccati lucrando i proventi delle giocate, se qualcuno si lamentava – ha detto il pentito – intervenivano esponenti del clan Mangialupi». Anche un altro collaboratore di giustizia, Pasquale Castorina, ha parlato dell’attività di La Valle per conto del clan a partire dai primi anni 90. Già a quel tempo «i proventi dell’attività delittuosa venivano gestiti da La Valle per conto dell’intera organizzazione».
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