Mafia a Expo, revocati i domiciliari per Nastasi Considerato prestanome nel consorzio Dominus

Revocati dopo otto mesi gli arresti domiciliari al partannese Calogero Nastasi, di 70 anni, condannato con il rito abbreviato lo scorso febbraio a tre anni e otto mesi di reclusione nell’ambito del procedimento scaturito dall’operazione Giotto, messa a segno dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano che ha portato alla luce presunte infiltrazioni mafiose nell’organizzazione sull’Expo di Milano 2015. 

Il provvedimento è stato disposto dal gip di Milano Alessandra Del Corvo che ha accolto la richiesta avanzata dall’avvocato Gianni Caracci. Nastasi, amministratore unico del consorzio Dominus dall’aprile del 2015, secondo l’accusa era il prestanome del figlio Giuseppe, considerato vicino al latitante Matteo Messina Denaro e condannato nell’ambito dello stesso procedimento a otto anni e dieci mesi di carcere. 

Per i magistrati il 70enne era «totalmente avulso alla realtà imprenditoriale milanese» e «pienamente consapevole della gestione illecita del figlio in varie società, inserite nel meccanismo degli innumerevoli illeciti tributari». Secondo quanto riconosciuto nella sentenza di primo gradi, il consorzio Dominus a Expo ha ottenuto appalti per 18 milioni di euro e ha realizzato i padiglioni di Francia, Guinea, Qatar e Birra Poretti, l’auditorium e il palazzo dei congressi. A commissionare i lavori è stata la società Nolostand, una delle controllate da Fiera Milano. Una parte dei fondi neri creati sarebbe finita alla mafia siciliana, in particolare alla famiglia Accardo di Trapani. 

Il giudice per le udienze preliminari di Milano ha riconosciuto a padre e figlio l’aggravante per mafia. Circostanza contestata dalla difesa dei due. L’avvocato Caracci ha infatti annunciato il ricorso in appello. «Attendiamo solo di leggere le motivazioni della sentenza – ha sottolineato – che verranno depositate a breve. Poi procederemo al ricorso contestando l’aggravante per mafia. Mancano infatti i riscontri circa le frequentazioni del mio assistito con uomini legati a cosa nostra». 

Pamela Giacomarro

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