Novantuno tra boss, gregari, estortori e prestanome di due storici clan mafiosi palermitani – quello dell’Arenella e quello dell’Acquasanta – sono stati arrestati dalla guardia di finanza. Durante il maxiblitz (che ha coinvolto oltre alla Sicilia anche Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania), sono finiti in manette esponenti di storiche famiglie mafiose come quelle dei Ferrante e dei Fontana. E tra gli indagati c’è anche un ex concorrente del Grande Fratello. Le accuse contestate sono a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, ricettazione, riciclaggio, traffico di droga, frode sportiva e truffa.
Scommesse online e slot machines, corse dei cavalli, traffico di droga e anche appalti e commesse sui lavori eseguiti ai Cantieri navali di Palermo, nelle attività del mercato ortofrutticolo. Sono questi i settori in cui si sarebbero concentrati gli interessi dei clan. Durante l’inchiesta denominata Mani in pasta, inoltre, è stata scoperta una lunghissima lista di attività commerciali sottoposte al racket del pizzo. I militari hanno sequestrato anche beni del valore di circa 15 milioni di euro.
Dalle indagini è emerso il ruolo di vertice di Gaetano Fontana. scarcerato per decorrenza dei termini nel 2013 dall’accusa di mafia, tornato in cella nel 2014 e nel 2017 uscito nuovamente dopo avere scontato la pena. Il ruolo di punto di riferimento per i picciotti dell’Acquasanta, secondo gli inquirenti, Fontana lo avrebbe mantenuto anche mentre si trovava in carcere. Oggi sono stati arrestati anche la madre e i due fratelli: Giovanni – che ha alle spalle un lungo elenco di precedenti per ricettazione, omicidio, porto abusivo di armi e resistenza a pubblico ufficiale – e Angelo che dal 2012 è sottoposto all’obbligo di soggiorno a Milano.
I Fontana gestivano le imprese che operano nella cantieristica navale, nella produzione e commercializzazione di caffè, e avrebbero il controllo di decine di supermercati, bar e macellerie e del mercato ortofrutticolo, delle scommesse online e delle slot machines. Tutti e tre vivevano da tempo a Milano, eppure avrebbero mantenuto forti interessi nel capoluogo siciliano. Gli inquirenti parlano di una vera e propria «delocalizzazione al nord», con affari realizzati senza intimidazioni ma «con una contaminazione silente non meno insidiosa per il tessuto connettivo dell’economia nazionale, in termini di alterazione della libera concorrenza, indebolimento delle tutele per i lavoratori ed esposizione delle istituzioni alla corruzione», scrive il gip.
Altro personaggio di rilievo dell’indagine è Giovanni Ferrante, ritenuto braccio operativo del clan Fontana. Ferrante avrebbe usato alcune attività commerciali del quartiere per riciclare i soldi sporchi, avrebbe ordinato estorsioni e imposto l’acquisto di materie prime e generi di consumo scelti dall’organizzazione. Già condannato per mafia, dal 2016 è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali. Uscito dal carcere, avrebbe consolidato la propria posizione di leader all’interno della famiglia mafiosa. Per la gestione degli affari illeciti Ferrante avrebbe come intermediatrice la compagna, Letizia Cinà. Molto temuto, modi violenti, in una intercettazione dopo essere stato scarcerato dice: «Oramai non ho più pietà per nessuno! Prima glieli davo con schiaffi, ora glieli do con cazzotti… a colpi di casco… cosa ho in mano… cosa mi viene». Altro personaggio di spicco è Domenico Passarello, a cui sarebbe stata delegata la gestione dei giochi e delle scommesse a distanza, del traffico di stupefacenti, della gestione del denaro per il versamento nella cassa comune.
Tra gli indagati c’è anche un volto noto: Daniele Santoianni, che ha partecipato alla decima edizione del Grande Fratello, il reality di Canale 5. Ora è ai domiciliari con l’accusa di essere un prestanome del clan. Santoianni era stato nominato rappresentante legale della Mok Caffè Srl, ditta che commerciava in caffè, di fatto nella disponibilità della cosca. «Con ciò – scrive il gip – alimentando la cassa della famiglia dell’Acquasanta e agevolando l’attività dell’associazione mafiosa».
Attività ferme per la pandemia da Covid-19, una drammatica crisi economica, imprese sull’orlo della chiusura e Cosa nostra pronta a sfruttare l’emergenza. È questa la fotografia della realtà economica palermitana che emerge dall’inchiesta. «Da una parte – ha spiegato il giudice – l’attuale condizione di estremo bisogno persino di cibo di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti. Dall’altra – ha aggiunto – il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese ha cagionato una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà produttive. Un interessato sostegno potrebbe manifestarsi nelle azioni tipiche dell’organizzazione criminale, vale a dire l’usura, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, suscettibili di evolversi in forme di estorsione o di intera sottrazione di aziende ai danni del titolare originario».
Nell’inchiesta c’è anche una parte che riguarda la frode sportiva e il riciclaggio di denaro sporco realizzato attraverso l’acquisito di puledri di razza. Cosa nostra investe nel settore dell’ippica e avrebbe truccato gare corse in ippodromi di Torino, Villanova d’Albenga, Siracusa, Milano e Modena. In particolare dall’inchiesta, che ha portato anche al sequestro di 12 cavalli, è emerso che l’uomo della cosca nel mondo dell’ippica era Mimmo Zanca, già arrestato in passato, e incaricato di gestire la combine all’interno degli ippodromi, corrompendo e minacciando chi si opponeva.
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