Madonie, il ritorno della produzione della manna «È la natura quella che conta, a luglio la raccolta»

La manna non piove solo dal cielo, almeno nelle Madonie. Qui, tra Pollina e Castelbuono, la si coltiva a terra, con tecniche tramandate di generazione in generazione. La riscoperta di uno dei più noti dolcificanti naturali, che si ottiene dalla solidificazione della linfa che fuoriesce dalle incisioni praticate sul fusto di una rara specie di frassino, è piuttosto recente. È il dicembre 2015 quando il Consorzio Manna Madonita – una società cooperativa consortile sociale che accorpa quattro cooperative di produttori di manna (La 50, Oasi, Nuova Alba e Il Girasole) – decide di rilanciare la produzione di questa antica risorsa naturale. 

«Prima di noi – racconta Vincenzo Barreca, presidente del Consorzio -, almeno fino agli anni ’50, la manna era la coltura con cui ha vissuto un territorio. Un sacco di famiglie la coltivava, ciascuna aveva il proprio piccolo terreno di frassineti. Col tempo questa coltura è stata abbandonata, per ragioni diverse e variegate. Soprattutto perchè è arrivata la produzione industriale, che costava meno in termini di soldi e tempo. Negli anni ’90 alcuni agricoltori hanno provato a riproporne la rinascita. Tre anni fa, poi, sono arrivati altri agricoltori sui generis: laureati in scienze biologiche, giovani brillanti che hanno lasciato l’università o cuochi che hanno deciso di abbandonare mestieri ben avviati. Tutti con la fissa della manna. Hanno creato una serie di cooperative agricole che sono poi confluite nel Consorzio». 

Oggi sono circa 60 gli ettari destinati alla coltivazione, e oltre 1500 chilogrammi di manna sono stati prodotti complessivamente dal Consorzio nel biennio 2016-2017. A breve – fine luglio se il tempo si manterrà caldo, al massimo i primi di agosto – ci sarà il raccolto del 2018. Le previsioni al momento sono buone, anche se Barreca preferisce mantenersi prudente. «Sarà il clima a dirlo – commenta -. La manna è legata moltissimo alle avversità climatiche, è un prodotto che si scioglie quando piove o quando c’è la brina. Le attività da mettere in atto nel caso di avversità sono poche, stiamo cercando di fare una ricerca insieme all’Università di Palermo per capire almeno come mitigarle».

A offrire supporto, in questo senso, alla coltivazione dei frassini da manna contribuisce certamente il territorio delle Madonie: quasi ovunque incontaminato, specie nei Comuni tutelati dall’omonimo Parco, con elevate temperature, scarse escursioni termiche e bassa umidità dell’aria. Verso la seconda o terza decade di luglio, i frassinicoltori (detti anche mannaroli o, in siciliano, ntaccaluori) verificano lo stato di maturazione delle piante facendo piccole incisioni, sulla corteccia del frassino con una particolare roncola molto affilata e appuntita, detta mannalouru o cutiéddu à manna. Da questi solchi sgorga un liquido ceruleo e amaro che, a contatto con l’aria, si rapprende rapidamente formando uno strato cristallino biancastro: la manna. Per raccoglierla i mannaroli inseriscono sotto l’incisione una piccola lamina d’acciaio a cui viene legato un filo di nailon lungo il quale, nei giorni successivi, la manna gocciola formando piccole stalattiti, i cosiddetti ‘cannoli’ che, del tutto privi di impurità, sono molto pregiati sul mercato. La parte di linfa che si rapprende sul tronco viene raschiata e costituisce la ‘manna in rottame’, la qualità meno pregiata. 

La manna del consorzio madonita è anche un presidio slow food. «Ciò ci aiuta molto – aggiunge Barreca – perchè ci dà un brand di qualità che per noi è fondamentale, soprattutto perchè siamo nati da poco. E conferma quello che diciamo da sempre: è la natura quella che conta». La complessa composizione della manna le regala poi numerose qualità benefiche e gustative che la rendono poi un prodotto utilizzabile in molti settori, dalla pasticceria (uno dei più celebri panettoni di Fiasconaro è realizzato con una gustosissima crema di manna) alla farmaceutica, per arrivare alla cosmesi. «È anche per questa sua varietà – dice ancora il presidente del Consorzio – che pensiamo di realizzare nel breve termine un laboratorio, che ci consenta di lavorare la manna e di realizzare dei prodotti semifiniti. Inoltre quest’anno per la prima volta avremo un raccolto della maiorca di Pollina: un grano antico che ci è stato affidato dall’Istituto di Granicoltura di Caltagirone, grazie a un botanico russo che portò quest’antichissima semente in una banca del seme da cui poi sono stati ottenuti i semi di Pollina».

Andrea Turco

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