Ma i precari siciliani, legge alla mano, possono essere stabilizzati

da Gesualdo Campo

riceviamo e volentieri pubblichiamo

La vicenda dei precari siciliani di enti pubblici e società partecipate sta per giungere all’epilogo che potrebbe, però, essere diverso dal previsto se gli interessati, in proprio o, più improbabilmente, attraverso i sindacati, portassero in giudizio le rispettive parti datoriali, poiché la norma per la loro stabilizzazione esiste dal 2001 e discende da una direttiva dell’Unione del 1999, frutto a sua volta di una contrattazione sindacale europea, e il l’ho già richiamata in un commento ad un articolo sul tema apparso sul Suo giornale un paio di mesi fa.

La fornisco nell’interesse dei lavoratori, perché possa utilizzarla come meglio ritiene.
Si tratta del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, portante “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso da UNICE, CEEP e CES” (GURI 9 ottobre 2001, n. 235), il cui articolo 5 “Scadenza del termine e sanzioni. Successione dei contratti”, al comma 4, prescrive che “quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”.
Tutti i precari siciliani hanno il requisito di almeno un rinnovo contrattuale a termine in continuità con un precedente contratto.
E’ stato obiettato che la norma fosse relativa a contratti di diritto privato – quelli dei precari degli enti locali lo sono – purché ambo la parti contraenti siano soggetti privati, come, ad esempio, nel caso della Servizi Ausiliari Sicilia nata dalla fusione delle tre società partecipate regionali Multiservizi, Beni Culturali e Biosphera.

Senonché, numerosi Tribunali del lavoro – Treviso il 22 settembre 2010, Siena il 27 settembre 2010, Brescia il 6 ottobre 2010, Vicenza il 13 maggio 2011, Milano il 13 giugno 2011 e l’elenco potrebbe continuare – la hanno applicata ai precari della scuola pubblica, con ciò sancendo che essa disciplina anche i contratti di diritto privato stipulati da parte pubblica.
Infatti, con decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 2011, n. 106, per prevenire che dilagassero i ricorsi dei numerosi precari della scuola licenziati dalla riforma “Gelmini”, al comma 18 dell’articolo 9 “Scuola e merito”, sono stati esclusi dall’applicazione del DL 368/2001 i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente e di quello amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) della scuola statale; con ciò stesso confermandone la ricorrenza per tutte le altre fattispecie di precari in rapporto di lavoro privatistico con enti pubblici.

Consegue che, se i precari siciliani presentassero ricorsi individuali o collettivi ai Tribunali del lavoro territorialmente competenti, rivendicando il diritto discendente dall’art. 5, c. 4, del D. Lsv. 368/’01, con ogni probabilità avrebbero riconosciuta la stabilizzazione “dalla data di stipulazione del primo contratto” e il problema di come e da dove recuperare le necessarie risorse per la corresponsione di stipendi e contributi assistenziali e previdenziali andrebbe affrontato nell’ottica delle spese obbligatorie e non più delle opzioni politiche attraverso le quali mantenere i 22.000 lavoratori e le loro famiglie sotto un ricatto elettorale che si avvia ad essere pluridecennale.
I fondi spesa per i legali potrebbero essere anticipati dai sindacati ma, per lo scetticismo implicito a tale ipotesi, è bene che i lavoratori sappiano che in caso di vittoria le spese di giudizio e i compensi di difesa sarebbero loro ristorati per sentenza.

 

 

Redazione

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