M5S: abolire i Comuni con meno di 5000 abitanti

Tra le proposte del programma Cinque Stelle ce ne sono alcune che suscitano quanto meno perplessità per coloro i quali conoscono la Sicilia, la sua economia, la sua storia e la realtà delle aree rurali dell’Isola.  Una colpisce più di tutte: abolire, o ciò che è lo stesso, “accorpare” i comuni con meno di 5000 abitanti.

E’ bene capire cosa significa questa proposta apparentemente “efficiente” e contro gli sprechi, ma in realtà sciagurata se non folle: uno tsunami amministrativo in piena regola che spazzerebbe via intere comunità e interi comprensori. Infatti, la proposta del Movimento 5 Stelle, se attuata interamente,  ridurrebbe i comuni siciliani da 390 a 190, eliminandone ben 200. Di per se si tratta di un colpo micidiale al funzionamento democratico della Sicilia che produrrebbe un vero e proprio deserto amministrativo soprattutto nella parte interna dell’Isola. Questa si troverebbe d’un tratto senza quella base comunitaria, il Comune, che è la cellula storica della civiltà italiana e siciliana in particolare, discendente della polis greca e della civitas romana. Tutto questo avverrebbe senza una reale riduzione dei costi per le casse pubbliche e in termini di riduzione dei costi reali. I servizi resi da un Comune, infatti, sarebbero comunque necessari da qualche parte.

Se andiamo a vedere i dati dell’ultimo censimento, notiamo che tra i comuni eliminati ci sarebbero anche grossi centri dalla forte tradizione, dalla funzione di traino economico e di mantenimento della cultura locale. Ad esempio, non ci sarebbero più amministrazioni elette democraticamente a Santo Stefano di Camastra (ME), storica capitale della ceramica d’arte della Sicilia settentrionale; a Gibellina (TP) sede dell’importante manifestazione delle Orestiadi; a Siculiana, sede di una notevole fiera del libro; a San Vito Lo Capo (TP), grande centro turistico conosciuto in tutto il mondo e che in estate quadruplica la sua popolazione.

E non solo. Sparirebbero quasi tutti i comuni delle Madonie tranne Castelbuono e qualche altro. Sparirebbe il Comune di Favignana (TP) i cui abitanti sarebbero costretti, tempo permettendo, a prendere aliscafo o barca per recarsi in Comune a Trapani a sbrigare faccende amministrative. Sparirebbero centri montani che hanno fatto la storia della Sicilia, come Naso, Petralia Soprana, Caronia, Tusa, Geraci Siculo. E ancora sparirebbero centri importanti per l’agricoltura e la tenuta del sistema rurale siciliano come Castroreale, Burgio, Vita. Montevago, Castrofilippo, Mezzojuso, Chiusa Sclafani, Burgio, Alimena, giusto per citarne alcuni. Un’ecatombe. E sarebbe di proporzioni e spaventose per il mantenimento della democrazia, delle basi culturali e dei servizi al cittadino. Nella Valle del Belice, già mortificata da decenni di abbandono ed esperimenti di vario genere del dopo-terremoto, sarebbe spazzato via un tessuto amministrativo che come nelle Madonie, i Nebrodi e i Peloritani, mantiene un minimo di servizi e vivibilità. Il Belice tornerebbe ad essere quello che era ai tempi del Gattopardo: una terra dimenticata da Dio e dagli uomini, a meno che non si è ricchi e facoltosi. (Nelle foto, nell’ordine: Caronia; una spiaggia dello Zingaro a San Vito Lo Capo; una veduta di Siculiana. Tratte da Wikipedia).

Nell’Agrigentino sarebbero cancellati per legge interi comprensori rurali, vicino e lontano la costa, che ancora oggi sono vitali grazie ad amministratori che si sono fatti in quattro per recuperare storia e civiltà letteraria, come ad esempio Siculiana, centro dove ogni anno autori ed editori di tutta Italia si danno convegno per il premio letterario Torre dell’Orologio. Proprio il vicesindaco di Siculiana (AG), Peppe Zambito, commenta in questo modo la proposta del Movimento 5 Stelle di eliminare con un tratto di penna i comuni siciliani con meno di 5000 abitanti: “Se la ‘nuova politica’ vuole cancellare la storia e le tradizioni di una realtà come quella siciliana, che è invece molto legata con le proprie radici, allora ha regione Bersani quando dice che  in questa campagna elettorale si fa cabaret e si dicono baggianate. Questa è la dimostrazione che l’anti-politica è solo una moda che non è in grado di fare proposte serie. Invece serve la buona politica che a fronte della capacità di contestare riesce a progettare.”

Anche nel caso d’”accorpamento” di vari comuni in centri più rappresentativi e localmente più importanti, verrebbe a mancare l’efficienza delle amministrazioni realmente vicine al cittadino, proprio perché operanti in piccoli centri dove la parola “comunità” ha ancora un senso. Tanti comuni diverrebbero ancor più periferia di centri medi che sono a loro volta periferia di metropoli siciliane, a loro volta periferia di una nazione, e ancora periferia di un’Europa sempre più lontana.

Il Movimento 5 Stelle si dice difensore dei diritti della gente comune, dimenticando però che la gente comune di ben 200 centri rurali siciliani si troverebbe costretta a spendere cifre iperboliche per entrare in contatto con l’amministrazione dovendo percorrere, mezzi permettendo, dai 20 ai 100 chilometri di strade montane per raggiungere gli uffici comunali. Il cittadino comune si troverebbe così costretto a pagare di tasca propria l’eventuale “risparmio” nello snellimento dell’amministrazione, con uffici più affollati e molto, molto, più distanti.

Che dire delle categorie deboli? Come tutti sappiamo, sono proprio i centri più piccoli a soffrire d’incipiente invecchiamento della popolazione. I nostri padri e i nostri nonni sarebbero dunque confinati sempre più in piccoli centri-dormitorio e lasciati crepare lì, oppure costretti a emigrare come già hanno fatto i loro figli e i loro nipoti. Nessun giovane andrà più nelle zone rurali, così ulteriormente isolate. Altro che economia locale low cost, a chilometro zero e anti-globalizzazione. Sarebbe la fine certa di tutto questo a vantaggio di amministrazioni ed economie sempre più grandi, potenti e lontane, lontanissime dal cittadino lasciato a se stesso.

La “riforma”, se così si può chiamare questa follia, priverebbe solo in Sicilia una popolazione di almeno 250.000 abitanti del proprio Comune di riferimento, pur in presenza di accorpamenti locali in un comune sotto i 5000 abitanti. Si tratta del 5% della popolazione siciliana, per lo più vecchi, bambini e ragazzi, che pagherebbero così per le proposte elettoralistiche di un comico trasformatosi in leader politico. Sembra che il Movimento 5 Stelle se la prenda con i più piccoli e i più deboli, facendo finta di difenderli.

Oltretutto si tratta proprio di quella fetta di popolazione che ha grandi difficoltà a collegarsi stabilmente su internet, il mezzo di comunicazione preferito da Grillo e soci. Evidentemente chi non ha internet non conta e non ha diritto di cittadinanza e di democrazia nel mondo immaginato da un clown.

Se questa “riforma” grillina fosse attuata in tutta Italia suonerebbe- a parere di chi scrive- come la campana a morto per un’intera nazione. Si tratterebbe di una devastazione degna di uno tsunami in piena regola, come quello che, ahimè, colpi Indonesia e Thailandia qualche anno fa.

Gabriele Bonafede

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