«Quando dovevo pubblicare il mio primo romanzo, circa 12 anni fa, mi sono imbattuto nella realtà delle case editrici, scoprendo ben presto le dinamiche che ci stanno dietro». Lo racconta con amarezza, ma anche con una buona dose di consapevolezza, lo scrittore Antonio Lo Vasco, nato 74 anni fa a Patti ma di adozione palermitana, visto che da 60 anni vive nel capoluogo siciliano. Dove trascorre l’inverno praticando sport – tennis e maratona – e scrivendo le storie che ogni estate affascinano chi passa da Lampedusa. Perché è lì, in quell’isola al centro del Mediterraneo, che Lo Vasco si trasferisce all’inizio della stagione estiva portandosi dietro il suo tesoretto: centinaia di copie dei suoi libri che la mattina presenta, pubblicizza e racconta girando fra le numerose calette dell’isola, e la sera vende nel suo banchetto in via Roma, intercettando i fedeli lettori e incuriosendo i turisti di passaggio.
«Ho scelto Lampedusa perché non c’è una libreria e penso che non ci sarà mai – spiega lo scrittore -. Sono i lettori che ritornano ogni anno sull’isola che pretendono che anche io ritorni, perché sanno che c’è sempre un nuovo romanzo in stesura». Di cui Lo Vasco è anche editore. «Purtroppo l’editoria italiana è in una condizione disastrosa. Se un giorno impazzissi – aggiunge – per far diventare le mie figlie ricche, mi basterebbe tirare dei fendenti a destra e a sinistra. Mi farei due o tre anni di carcere, ma automaticamente dopo sei mesi venderei già un milione di copie perché diventerei famoso». Lui famoso lo è già per tanti lettori, che ogni anno tornano a trovare «l’uomo col banchino», come lo chiama Eliana, in vacanza da Agrigento. «Appena scendo dall’aliscafo corro subito qui – racconta -. Li ho letti tutti e ogni estate vengo a comprare quello nuovo e scambiare le mie sensazioni con l’autore».
E non è l’unica. Sono tante le recensioni e le mail che arrivano a Lo Vasco, che in ogni romanzo ne inserisce una delle più significative. «La conferma che il mondo dell’editoria non funziona è arrivata già diversi anni fa – ricostruisce – quando in un’intervista, il più grosso editore d’Italia ha detto che ogni anno riceve circa seimila romanzi di autori emergenti ma non ne pubblica nemmeno uno, perché bisogna dare spazio a quelli già affermati. Mentre – continua – gli editori più piccoli si fanno pagare dagli autori sconosciuti, riuscendo a vendere all’incirca duecento o trecento copie per ogni autore e poi togliendo il libro dagli scaffali».
L’uomo col banchino si è fatto i conti e ha capito che non gli conveniva sottostare a queste dinamiche. «Avevo già scritto la mia prima opera, Un pomeriggio tornando a casa, e a quel punto mi sono fatto quattro conti: trecento copie al 5 o al 6 per cento non era di certo un affare per me e ho deciso di diventare editore di me stesso». Da quel momento, racconta, ha incontrato tanti editori che alla fine gli hanno dato ragione. Così come alcuni autori. «Proprio recentemente uno di loro mi raccontava che ha pubblicato due libri con una casa editrice senza pagare nulla, ma anche senza venderne neanche una copia. Io invece, autore sconosciuto, ne vendo tanti, circa dieci al giorno».
A chi si rivolge? «In Italia il 70 per cento delle persone non legge e del 30 per cento che resta la metà non va considerata perché legge sull’I-pad, mentre io cerco chi si interessa dei romanzi. Durante i primi sei anni di attività ho cercato i miei lettori in giro per l’Italia, nelle località balneari più rinomate. Arrivato a Lampedusa, però, mi sono reso conto della mancanza di una libreria. Quindi quale migliore posto per propormi?». In tutti i suoi romanzi ci sono aspetti autobiografici, tratto distintivo e inevitabile di chi scrive. «Qualunque autore mette un po’ di suo o di chi gli sta vicino – dice Lo Vasco -. In Condoglianze signora, per esempio, mi sono ispirato alla storia vera di un uomo che una notte, nonostante non sia un delinquente, viene costretto a giurare fedeltà alla mafia. Un fatto risalente agli anni ’70 che ricordo ancora e che mi ha impressionato».
Mia figlia no! racconta invece la storia di un padre a cui viene rapita la figlia di sei anni. Non fidandosi delle indagini della polizia, ne porta avanti una parallela per ritrovarla prima che sia troppo tardi. «Mi piace scrivere al femminile e in molti mi dicono che riesco abilmente a guardare le cose con gli occhi di una donna o di una bambina. Sarà perché ho passato una vita in mezzo alle donne, tra cinque sorelle, moglie, due figlie e una nipotina». Che già scrive i suoi romanzi con il computer del nonno.
Memoriale di un’assassina, invece, è incentrato sulla storia di una ragazza muta accusata di omicidio. L’unico modo per giustificarsi di fronte al giudice, ma soprattutto di fronte alla sorella minore all’oscuro di tutto, è prendere la penna e iniziare a scrivere. «Nel ventesimo capitolo l’azione si svolge proprio a Lampedusa, un mio personale modo per ringraziare e omaggiare l’isola che mi ospita ogni estate».
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