L’ospedale San Lorenzo, il fantasma di via Ingegneros Chiuso da 30 anni. «Uno spreco che oggi fa più rabbia»

Quanti potenziali pazienti potrebbero comodamente entrare in un palazzone di ben sette piani? Viene da chiedersele, certe cose, di questi tempi. Tempi in cui, a causa di un’emergenza mondiale chiamata Covid-19, tocca fare i conti con la paura di dover presto scegliere quale malato curare, quale persona salvare. I posti in Terapia intensiva negli ospedali di Palermo non sono certo infiniti. Ma sicuramente aiuta l’aver trasformato un intero nosocomio come quello di Partinico in un Covid-Hospital, attrezzato cioè per accogliere esclusivamente persone contagiate dal virus. E mentre i numeri continuano a salire e letti e presidi sanitari a scarseggiare, guardare quel palazzone di sette piani fa molta più specie. Perché fino a quasi 30 anni fa quel palazzone oggi abbandonato all’incuria e al degrado era l’ospedale San Lorenzo di via Ingegneros, fiore all’occhiello della città.

Oggi le sue porte e le sue finestre del pianoterra sono tutte murate, per scongiurare il pericolo che qualche disperato occupi quello spazio immenso chiuso da tempo. Quasi dieci milioni di euro il suo costo dell’epoca, con all’interno le unità operative di Oculistica e Odontoiatria. Di cui non resta che il ricordo, nulla di più. Risalgono a pochi anni fa, infatti, gli ultimi furti all’interno della struttura di attrezzature e letti rimasti lì, anche quelli, a marcire nel tempo. Almeno fino a che qualcuno non ha pensato bene di fare irruzione e portarseli via. Anche dello storico giardino oggi resta molto poco, a ricordarne i fasti di un tempo ci sono solo erbacce incolte e qualche rifiuto qua e là. La proprietà, all’ora come oggi, è dell’ospedale Villa Sofia-Cervello, che negli anni avrebbe tentato di recuperare l’immobile, senza però riuscirci. Risale, infatti, al 2013 la richiesta alla Regione di un finanziamento per recuperare e riaprire la struttura, richiesta caduta però nel vuoto. Col risultato che quello che oggi potrebbe essere un ulteriore importante presidio su cui poter fare affidamento nel contrasto all’emergenza Covid, non è invece che un immenso inquietante fantasma. 

«Non rilascio nessuna dichiarazione su questa cosa», dice intanto il dirigente generale degli ospedali riuniti Walter Messina, che solo a sentir nominare l’argomento si trincera immediatamente. Non ha voglia di parlare di questa storia, almeno non pubblicamente, specie adesso che l’emergenza in atto per cui si rende reperibile h24 lo porta a concentrare tutte le sue attenzione ed energie chiaramente su questioni ben più stringenti. Qualcuno in città, però, di quel posto si ricorda ancora. Come Michele Maraventano, presidente della sesta circoscrizione. «Fu chiuso per il piglio di risparmiare – racconta -. Tant’è che prima, quando esisteva, dipendeva da Villa Sofia, che col Cervello rappresentavano due unità distinte e separate. Poi, proprio per risparmiare, sparisce il nosocomio di via Ingegneros e gli altri due ospedali diventano un’unica unità. In passato, con un ingegnere che all’epoca si occupava della vicenda, mi informai per capire se stessero realizzando o meno qualcosa, insomma qualcuno se ne stava occupando? Ma non sapevano neppure cosa rispondermi».

Eppure negli anni le idee per recuperarlo e farne qualcosa non sono mancate. Qualcuno ha proposto di ristrutturarlo e venderlo. Qualcun altro di sfruttarne l’immenso giardino e trasformarlo in una villa comunale. Qualcun altro ancora di spostare lì gli uffici della Regione. Tra un’idea e l’altra, però, il fantasma dell’ex ospedale è rimasto sempre lì a marcire. Ma andiamo a monte: perché chiudere una struttura potenzialmente tanto prestigiosa? In cosa esattamente si doveva risparmiare? La cronaca di un lontano 1992 racconta ancora oggi di alcuni interventi di Oculistica organizzati in quell’ospedale e puntualmente saltati a causa del filo per suturare mancante. Mentre in altre occasioni a mancare erano state spugnette assorbenti e prodotti anestetici. Insomma, le forniture scarseggiavano e le consegne ritardavano. Ci saranno stati problemi come questi all’origine della decisione di chiudere tutto? «Era una macelleria – racconta oggi un ex paziente che oltre 20 anni fa fu ricoverato lì -. Ho avuto la mia prima crisi asmatica forte lì dentro, provocata apposta perché mi dovevano certificare come asmatico, ma uscita fuori controllo».

«Si vuole risparmiare però si mettono a repentaglio le necessità della collettività – torna a dire il presidente Maraventano -, perché noi stiamo vedendo ora con questo virus come ci stiamo ritrovando. Speriamo che a Palermo non ci sia una situazione tale da mettere la città sotto scacco, però se dovesse accadere ci ritroveremmo davvero in brutte acque, perché mancano le strutture». Nei suoi ricordi di un tempo, lì c’erano anche un reparto di Ortopedia e uno di Pneumologia. Ma anche un’altra struttura adiacente all’ospedale, mai finita. «Vedi quanti soldi sono stati buttati…e per che cosa? Dovrebbero rispondere tutti quelli che si sono resi colpevoli di questa decisione. Uno spreco che oggi fa anche più rabbia. Se mai tornasse in funzione, significherebbe scaricare Villa Sofia di tanti pazienti, per esempio tutti quelli che vanno lì al pronto soccorso e ci restano per giorni in attesa di una visita. Con gli ospedali periferici si accorcerebbero i tempi, ci sarebbe forse un dispendio maggiore, ma sanità e salute dovrebbero essere una priorità per chiunque. Si sono alternati tanti governi di ogni colore politico, però cambia il direttore d’orchestra ma la musica resta sempre quella».

Intanto, più passa il tempo più la struttura invecchia. Più soldi, quindi, servirebbero se mai un giorno qualcuno decidesse davvero di recuperare questo posto. «Come al solito non sappiamo valorizzare le nostre ricchezze – conclude con amarezza Maraventano -. Non so cosa succede nelle segrete stanze, viene però il sospetto che dietro ci siano chissà quali interessi». 

Silvia Buffa

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