«Vendetta del clan Cappello nei confronti del magistrato Pasquale Pacifico della Dda di Catania. Ma anche un disegno personale di Orazio Finocchiaro per acquisire potere all’interno della famiglia». Queste – secondo il procuratore Capo di Messina, Guido Lo Forte, sarebbero le motivazioni alla base dell’attentato programmato per eliminare il magistrato etneo.
«Il progetto si sviluppa attraverso un circuito di pizzini tra due detenuti. Orazio Finocchiaro – in carcere al regime del 41 bis al Nord Italia per associazione mafiosa – prepara l’agguato in accordo con un altro componente della cosca mafiosa, prossimo ad essere scarcerato: sarebbe stato lui l’esecutore dell’omicidio di Pacifico». «Fratello spero che riesci a scaricare tutte le pallottole su quel cesso che non deve vivere, brucia poi il biglietto» – scrive in uno dei tre pizzini scambiati con l’esterno da Finocchiaro, per il quale è scattata un’ordinanza di custodia cautelare. Nessun provvedimento per il complice, Giacomo Cosenza, ex pentito, le cui rivelazioni hanno fatto partire le indagini – iniziate lo scorso autunno – dirette dai magistrati della Procura di Messina in collaborazione con la Procura etnea. L’obiettivo, Pasquale Pacifico, è il magistrato della Procura di Catania che ha seguito l’intero filone dell’operazione Revenge, iniziata nell’ottobre 2009, che ha bloccato la guerra in corso tra i clan Cappello e Santapaola per il controllo dello spaccio di stupefacenti. Finocchiaro aveva in mente di eliminare chi – con le sue indagini – poteva ostacolare la sua scalata al vertice della famiglia capeggiata dal boss Sebastiano Lo Giudice, anche lui in carcere.
Napoletano d’origine, a Catania da quattordici anni e nella sezione distrettuale antimafia dal 2008, Pasquale Pacifico non è di molte parole. Della notizia dell’attentato programmato nei suoi confronti preferisce lasciar parlare il procuratore di Catania Giovanni Salvi e quello di Messina Guido Lo Forte che hanno seguito le indagini. E, mentre a Messina è in corso la conferenza stampa per parlare dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di chi avrebbe voluto eliminarlo, lo incontriamo nella sua stanza al secondo piano del Palazzo di giustizia di Catania, negli uffici della Procura della Repubblica etnea, seduto alla scrivania. Per lui è un giorno lavorativo come gli altri: «Non è la prima volta che ricevo minacce, anche se mai sono state così eclatanti – spiega – D’altronde chi fa questo mestiere è consapevole da subito dei rischi a cui va incontro». I risvolti dell’indagine anche per lui non giungono nuovi: «Sapevo di queste minacce – afferma – La notizia che stessero programmando un attentato risale al novembre scorso. Le indagini sono partite da alcuni biglietti che parlavano di azioni che attentassero alla mia vita con armi da fuoco. Ma questo non cambia la mia posizione né influisce sul mio lavoro». Il magistrato appare serio, ma non eccessivamente preoccupato: «Sono sereno e continuo a lavorare tranquillo».
[Foto di Mauroppi]
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