«Una tempistica logica». Prima Salvatore Cuffaro, che la Cassazione ha riconosciuto nel 2011 colpevole di aver favorito Cosa Nostra. Poi Raffaele Lombardo, condannato mercoledì in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Per Salvatore Lupo, storico siciliano esperto di mafia, il momento in cui queste sentenze si inseriscono non è casuale. «Non vorrei che si pensasse che non si può fare il presidente della Regione siciliana senza chiedere aiuto alla mafia, ma il punto è che, al di là delle valutazioni di tipo penalistico, i tempi sono maturi per queste condanne».
Lupo prova a fare un ragionamento dal punto di vista storico. «Non entro nel merito penale della sentenza Lombardo, anche perché non conosco i dettagli del processo», premette. Il punto di partenza è il passato comune dell’ex governatore originario di Grammichele e del suo predecessore agrigentino: la Dc. «Hanno costruito due poderose macchine politiche dalla disgregazione della Democrazia cristiana, portandosi dietro gli aspetti peggiori. Due potentati – spiega – sviluppati su un terreno ingombro di macerie, a seguito della dissoluzione dei grandi partiti e alla fine della stagione, quella degli anni ’80 e ’90, in cui Cosa Nostra è stata più forte».
Sono le sofferenze, le morti, le stragi che hanno ferito la Sicilia, ad aver fatto nascere nell’isola, prima che in altre regioni del Sud Italia, un’antimafia altrettanto vigorosa. «Così come la mafia non riguarda solo crimini e reati, allo stesso modo l’antimafia non è solo azione repressiva. Dopo le stragi si è sviluppata una sensibilità istituzionale e pubblica, una forte consapevolezza nella società civile. Ci sono voluti anni, durante i quali la reazione alla violenza di Cosa Nostra ha prodotto questi effetti». La mafia e l’antimafia sono cambiate insieme. Perché le condanne di due politici così importanti arrivano adesso? Secondo Lupo le sentenze rappresentano proprio «l’ultimo passaggio di questo graduale sviluppo».
Lo storico recupera un altro tema caro a Raffaele Lombardo. Dopo la caduta del leader del Mpa, la bandiera dell’autonomismo rimane libera, in attesa di qualcuno che torni a farne il cardine di un programma politico. «Ma non dovremo attendere a lungo – sottolinea Lupo – L’autonomia è uno strumento periodicamente agitato da una classe politica che trova grandi problemi nel governare e che ritiene comodo dare la colpa a un fantomatico centralismo. E’ connaturato nella storia della Regione siciliana, una risorsa troppo facile e per di più disponibile che purtroppo temo non tramonterà».
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