«Com’è che si dice qui da voi? Abbiamo babbiàto». Non è l’unico ad essere incredulo Alessandro Benedetti, legale del foro di Roma scelto dal presidente della Regione Raffaele Lombardo per difenderlo nel processo per voto di scambio – a carico anche del fratello e deputato nazionale Mpa Angelo – di cui oggi si è celebrata un’udienza carica di colpi di scena. Diverse facce stupite hanno accolto la richiesta della Procura di Catania di azzerare tutto e ricominciare da capo, dopo la pausa estiva. Un processo da rifare, «perché adesso abbiamo degli elementi nuovi che ci permettono di contestare l’aggravante mafiosa», spiega il pm Carmelo Zuccaro. Una decisione che «non lascia grande spazio di manovra», commenta lo stesso giudice Michele Fichera, e che verrà concretizzata nella prossima udienza del 19 luglio. «Proprio adesso che eravamo intenzionati a chiedere di celebrare anche tre udienze a settimana pur di poter concludere entro luglio», continua Benedetti. E proprio all’indomani della pubblicazione degli stralci delle dichiarazioni del neo-pentito boss Santo La Causa, che hanno provocato un piccolo terremoto negli equilibri – precari – del mondo dell’informazione catanese.
Racconti, ma stavolta di altri due collaboratori di giustizia, che sono anche alla base della decisione dei magistrati di mettere una pietra sopra all’accusa di voto di scambio semplice per i due fratelli Lombardo. E tramutarla in aggravata. Come hanno spiegato i pentiti Maurizio Di Gati e Gaetano D’Aquino, infatti, «nella richiesta dei voti per l’Mpa non c’era alcuna selettività – spiega in aula Zuccaro – Non venivano chiesti a persone specifiche ma a interi quartieri, in nome delle condizioni dettate dal reato 416 bis». L’associazione mafiosa, appunto, che agisce principalmente con tre strumenti: l’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà. «Queste persone non avrebbero mai denunciato che un candidato piuttosto che un altro aveva chiesto loro il voto, perché assoggettate e abituate a un clima di omertà – continua il pm – I candidati lo sapevano e ne hanno approfittato». Un’accusa che fa il paio con quella di concorso esterno in associazione mafiosa per cui Raffaele e Angelo Lombardo sono in attesa di un’altra decisione: quella del giudice delle indagini preliminari Marina Rizza, che deve pronunciarsi sul loro rinvio a giudizio.
Pronta la reazione dei difensori del governatore. «Chiediamo almeno all’accusa di riunire tutto in un solo processo per gli stessi fatti», dice l’avvocato Guido Ziccone. Più duro Benedetti: «I pubblici ministeri vogliono che questo procedimento salti», commenta. Preferirebbero far saltare mesi di lavoro, piuttosto che arrendersi a quella che, per il legale, è l’evidenza dei fatti: «E cioè che, nei suoi confronti, non c’è niente». Accuse respinte al mittente dalla Procura. Ma cosa succederà adesso ai due procedimenti? «Si vedrà», commenta con un’alzata di spalle il pm Michelangelo Patanè. Eppure erano stati proprio i magistrati, alla scorsa udienza, a sottolineare il rischio di prescrizione del reato.
Un clima di polemiche e veleni che continua anche fuori dall’aula, ma con altri protagonisti: i giornalisti. Oggetto dell’animata discussione i verbali del boss Santo La Causa, ritenuto per un periodo reggente della famiglia mafiosa catanese Santapaola-Ercolano e da poco collaboratore di giustizia. Verbali depositati alla scorsa udienza dai magistrati e quindi, da quel momento, di pubblico dominio. Tra i giornalisti scatta la caccia al documento. A cercarlo, senza fortuna, anche i redattori di Iene Sicule. «Ci è stato detto che non sarebbe uscito nulla: riservatezza assoluta – scrive Marco Benanti – Invece, no: la notizia la danno lAgi e lAnsa, nellarco di poco tempo». Non proprio una casualità secondo il giornalista, ma piuttosto una gestione poco limpida della notizia dovuta al potere di Mario Ciancio Sanfilippo: al contempo imprenditore, editore e direttore del maggiore quotidiano cittadino – per molto tempo l’unico – e anche vicepresidente dell’agenzia di stampa Ansa appunto. Un’accusa che all’Ansa non è stata presa bene e che stava per sfociare in un violento litigio tra i corridoi dell’ex pretura di Catania.
A prima vista una banale bega tra colleghi, se non fosse che nel resoconto diffuso dall’agenzia si notano alcune differenze con il reale contenuto dei verbali del boss. La Causa, scrive l’Ansa, avrebbe raccontato ai magistrati di un summit mafioso tenutosi proprio a casa del presidente Raffaele Lombardo. L’agenzia, citando i verbali, snocciola i nomi degli esponenti mafiosi presenti: nessun cenno all’eventuale presenza dello stesso governatore. Un passaggio diffuso invece dal legale di Lombardo, Alessandro Benedetti: «Solo dopo questa riunione il La Rocca e il Maugeri (boss di Caltagirone il primo ed esponente dei Santapaola il secondo ndr) si sarebbero intrattenuti con il Lombardo», commenta sempre all’Ansa in un testo successivo. Un dettaglio che cambia del tutto il peso delle parole di La Causa nei confronti di Raffaele Lombardo ma di cui non c’era traccia nel primo resoconto.
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