Mancanza di prove certe e concordanti dietro gli affari dei centri commerciali, un presunto summit di mafia svelato da un pentito che però non ha trovato riscontri e i rapporti con alcuni esponenti di Cosa nostra, compresa l’intercessione di un parente. Sono i tre passaggi salienti delle motivazioni con cui la corte d’Appello ha assolto l’ex presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Per lui le pm Agata Santonocito e Sabrina Gambino avevano chiesto sette anni e otto mesi di reclusione. Il dispositivo, letto nella tarda serata del 31 marzo scorso, ha di fatto ribaltato il giudizio di primo grado con cui la giudice Marina Rizza lo aveva condannato a sei anni e otto mesi. A restare in piedi, in attesa del probabile ricorso in Cassazione da parte della procura di Catania, c’è solo il reato di corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito la famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. Costato a Lombardo la pena a due anni, sospesa, e l’interdizione dai pubblici uffici.
Scorrendo le pagine delle motivazioni, 270 fogli in totale, c’è spazio anche per il presunto summit tra i vertici mafiosi e Lombardo. Un faccia a faccia che, secondo il collaboratore di giustizia Santo La Causa, sarebbe avvenuto a giugno 2013 nella casa di campagna del politico, nel territorio di Ramacca. «Un evento – scrivono i giudici – assolutamente privo di riscontro probatorio». Il pentito, entrato nel programma di protezione nel 2012, aveva spiegato di non avere partecipato direttamente al presunto summit, ma di averlo appreso da Carmelo Puglisi, detto Melo suggi. Il boss del gruppo Civita però, in quel periodo, si trovava dietro le sbarre, quindi impossibilitato a presenziare.
Un capitolo a parte è quello dei centri commerciali. Affari che hanno occupato per anni sia il cuore dell’inchiesta Iblis su Lombardo che quella che coinvolge l’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo. Quest’ultimo rinviato a giudizio dopo l’iniziale proscioglimento da parte della giudice Gaetana Bernabò Di Stefano. «Non ci sono elementi probatori certi e univoci e non è possibile istituire un collegamento tra le diverse vicende al di fuori di mere intuizioni o generici sospetti», proseguono i togati che si sono occupati del processo di secondo grado. Sotto la lente d’ingrandimento il centro commerciale Centro Sicilia, in contrada Tenutella, a Misterbianco. Affare che, stando alle motivazioni, non avrebbe celato un faccia a faccia tra Lombardo e Mario Ciancio, all’epoca proprietario dei terreni. Nessun contatto per i giudici nemmeno per gli affidamenti dei lavori a Vincenzo Basilotta, chiacchierato imprenditore di Castel di Iudica, deceduto nel 2015.
La corte d’Appello afferma invece che sono «dimostrati» i rapporti tra l’ex presidente e alcuni esponenti della mafia. Gli stessi che «avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore». A fare da tramite sarebbe stato il fratello di Lombardo, Angelo. Ex parlamentare del Movimento per le autonomie e attualmente sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2008, Angelo Lombardo sarebbe stato, ma il diretto interessato ha sempre smentito, vittima di un pestaggio «a causa del comportamento scorretto del governatore e come avvertimento a lui». L’episodio sarebbe stato legato al presunto mancato rispetto delle promesse elettorali, messe nero su bianco nei verbali e poi ripetute in aula dal collaboratore di giustizia Eugenio Sturiale. Dietro l’appoggio di Cosa nostra, reato che ha portato all’esclusione per l’ex presidente dell’aggravante di avere agito con forza intimidatrice, ci sarebbero state anche cessioni gratuite di dosi di marijuana a tossicodipendenti in cambio di una x sulla scheda elettorale.
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