Lo strano caso di scioglimento del Comune di Borgetto Per la Procura non c’era nessun patto politico-mafioso

«All’esito di accertamenti sono emerse forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata, che hanno esposto l’ente a pesanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale». Recitava così una nota del Consiglio dei ministri dello scorso 3 maggio, che annunciava lo scioglimento per mafia del Comune di Borgetto e la sua gestione per i successivi diciotto mesi a una Commisione straordinaria ai sensi della normativa antimafia. Una notizia che, neanche a farlo a posta, giungeva a un anno esatto di distanza dall’operazione Kelevra, indagine sulla famiglia mafiosa di Borgetto e sul mandamento di Partinico. Quanto emerso dalle verifiche ha convinto la prefetta di Palermo Antonella De Miro a firmare l’atto di scioglimento del Comune. Ma, mesi prima, diverse erano state le conclusioni a cui giungeva la Procura di Palermo, che ha invece sostenuto l’inesistenza di un patto politico-mafioso tra gli esponenti dell’amministrazione comunale e i boss locali. Un corto circuito che parte da lontano.

Le indagini sulla presunta penetrazione della criminalità organizzata all’interno del Comune partono già nel 2013 e fanno emergere in breve tempo l’esistenza di rapporti con alcuni esponenti dell’amministrazione comunale volti a ottenere profitti da appalti pubblici. «Le risultanze ispettive hanno fatto emergere la contiguità, sia per legami parentali che per frequentazioni o interessi economici tra il sindaco, i componenti della giunta e del consiglio comunale, nonché di taluni dipendenti comunali con esponenti della locale criminalità organizzata», si legge nella nota. Le prove raccolte dimostrerebbero anche l’ingerenza della cosca locale nel sostegno elettorale ricevuto dall’ex sindaco, Gioacchino De Luca, e da altri candidati al consiglio che, alla fine dei giochi, hanno ottenuto il maggior numero di voti. «In particolare, fonti tecniche di prova hanno attestato l’esistenza di un accordo politico-mafioso in base al quale i candidati sostenuti dalla consorteria mafiosa una volta eletti avrebbero dovuto garantire come controprestazione l’affidamento di alcuni servizi».

Molte sono le procedure risultate anomale e irregolari soprattutto nell’ambito della gestione dei rifiuti. Settore nel quale, spiega la prefettura, il sindaco avrebbe proceduto a diverse ordinanze per «frazionare un affidamento di importo ben più rilevante» per il quale, questa è l’ipotesi, sarebbero servite ben altre procedure di affidamento, più trasparenti. Sembrerebbe emergere da parte di De Luca e dell’ex vice sindaco Vito Spina la tendenza a rivolgersi, malgrado l’assenza di un contratto o di una convenzione, a referenti della locale famiglia mafiosa per l’utilizzo di una paletta meccanica per la rimozione dei rifiuti, «formalmente intestata a una società destinataria a dicembre 2011 di informazione antimafia interdittiva e di un’ulteriore certificazione interdittiva emessa a gennaio 2017». Emerge anche un episodio in cui un presunto referente della famiglia mafiosa «si lamentava energicamente con il sindaco del fatto che la ruspa meccanica a sua disposizione non aveva potuto lavorare in quanto il Comune aveva affidato l’attività ad altra ditta privata». Immediato l’intervento dell’ex primo cittadino, che avrebbe fatto ricorso esclusivamente alla pala meccanica della ditta, spacciandola per «paletta comunale». 

Elementi, questi, che fra gli altri hanno inciso nella valutazione finale della Prefettura. Ma che, a settembre 2016, hanno portato a conclusioni del tutto opposte la Procura palermitana e i cinque magistrati che hanno firmato una richiesta di archiviazione per i soggetti indagati con l’operazione Kelevra. In questo stralcio investigativo ci sono anche i nomi del sindaco De Luca e del vice Spina, quello del dipendente comunale dell’Ato Fabio Riina e quello di Gioacchino Polizzi, ex assessore comunale di Borgetto, legato al capomafia Giuseppe Giambrone da un legame di parentela: «Le risultanze investigative non hanno accertato un aiuto concreto, un contributo decisivo per il rafforzamento dell’organizzazione mafiosa», si legge in merito a Polizzi. Cade l’accusa di associazione mafiosa anche nei confronti degli altri tre. «Manca la prova che – al di là dell’orientamento di alcuni voti – sia stato effettivamente siglato un accordo elettorale con i due politici locali».

Nella stessa richiesta di archiviazione ecco spuntare anche l’episodio della paletta per la raccolta dei rifiuti e la conseguente spiegazione dei magistrati palermitani. «È stata utilizzata in un’unica circostanza direttamente da Giuseppe Giambrone in una strada pubblica vicina a quella dove è situata l’abitazione di residenza del sindaco De Luca». E più avanti: «In un’unica circostanza il Comune in via d’urgenza e per la diversa attività consistente nel ripulire le strade dalla neve, ha scelto di affidarsi alla ditta Sgf Petruso, riconducibile ai Giambrone e oggetto di intestazione fittizia. La reazione di Riina con gli esponenti dell’amministrazione comunale è stata a dir poco di marcata contrarietà e rabbia e non invece di pacifica accettazione, come sarebbe dovuto ragionevolmente essere se entrambe le attività fossero state riconducibili al medesimo gruppo criminale (o comunque se i politici locali avessero conosciuto tale circostanza)».

Manca, insomma, la prova che l’utilizzo di questa famosa paletta sia avvenuto obbedendo a un presunto accordo politico-mafioso. Quell’utilizzo, per i magistrati, in maniera netta «avviene in condizioni di estrema e urgente necessità sotto il profilo dell’igiene pubblica e comunque dopo aver tentato di ricorrere alla paletta pubblica nella disponibilità dell’Ato». Così, mentre nel 2016 la Procura parla di «nessuna acquisizione probatoria che provi il dolo», nel 2017 la Prefettura decreta lo scioglimento del Comune di Borgetto. E se da un lato i politici vengono assolti, dall’altro vengono allontanati dai loro ruoli istituzionali.

Silvia Buffa

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