«Lo Stato mi ha salvato, poi mi ha distrutto» La battaglia di Emanuela per il suo Bar del Bivio

«Lo Stato mi ha aiutato a realizzare il mio sogno. Poi me l’ha distrutto». È tutta in questo amaro paradosso la storia di Emanuela Alaimo, ex assessore comunale al Bilancio, in passato vittima di usura, che da oltre un anno combatte la sua battaglia per riavere il Bar del Bivio, dal 1954 punto di incontro per gli abitanti di Acqua dei Corsari. Un locale che ne ha viste di tutte i colori: prima affittato a un imprenditore per una serie di beghe familiari, poi sequestrato dai carabinieri e affidato a un amministratore giudiziario, infine chiuso e devastato dai vandali. «Ma io lo rivoglio, chi di competenza me lo deve ridare. Non voglio sentir parlare di altri amministratori giudiziari».

È per questo che stamattina la proprietaria, insieme ai suoi legali, parteciperà al flash mob per chiedere la riapertura del Bar del Bivio, che prende il nome dalla biforcazione tra la strada per Ficarazzi e quella per Villabate, dopo Romagnolo e la Bandita. «Questo bar è sempre stato della mia famiglia – racconta la signora Alaimo -. Purtroppo ha una storia travagliata. Anni fa l’attività venne dichiarata fallita per un mero errore, tanto che dopo sei mesi venne per così dire riabilitata, e fu così che mi rivolsi a un usuraio per salvare il locale di mia madre. Dopo la sua morte, inizialmente lo gestimmo tutti insieme. Poi però, a causa di un problema familiare, iniziai a occuparmene in prima persona».

«Nel 2000 ho iniziato un percorso di legalità ribellandomi al racket e denunciando il mio estorsore», prosegue la proprietaria, che infatti oggi è presidente del Coordinamento vittime del racket e dell’usura. «Purtroppo i miei familiari hanno avviato una causa per la successione e hanno chiesto l’intervento di un amministratore esterno. Nel 2010 ho ristrutturato i locali grazie ai fondi statali della legge 108 (Disposizioni in materia d’usura, del 1996, ndr), ho acceso un mutuo e ho affidato il bar con un contratto di affitto e di gestione all’imprenditore Marco Arena, che per tre anni lo ha gestito bene». L’anno scorso, però, un fulmine a ciel sereno: l’immobile viene sequestrato dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo «perché il padre di Marco Arena, Salvatore Arena, è ritenuto un imprenditore vicino ai boss del clan di Villabate. Così, il bar viene affidato a un amministratore giudiziario, che nel giro di pochi mesi, di fatto, lo fa chiudere. Da dicembre il bar non ha aperto un solo giorno e nel frattempo i vandali lo hanno devastato».

«Una rovina doppia – tuona la signora Alaimo – perché all’interno del bar possedevo un tabacchi e rischio di perdere la licenza anche per quello. Mi sento vittima degli errori della magistratura per la terza volta: il primo errore l’ha subito mia madre con il fallimento. Poi l’amministrazione giudiziaria: perché sequestrare l’immobile del figlio di Arena, che non era proprietario ma affittuario? Perché non si sono premurati di contattarmi prima di nominare l’amministratore? Infine l’attuale situazione: pur essendo proprietaria del bar non posso gestirlo in prima persona, anzi, si parla addirittura di affidarlo ad un altro amministratore. Io questo non lo accetto».

L’ex assessore è critica anche con l’attuale sistema dei beni sequestrati e confiscati, di recente finito al centro di un’inchiesta che ha travolto il Tribunale di Palermo, mentre le associazioni antiracket da almeno due anni chiedono di riformare l’amministrazione giudiziaria. «L’avvocato che gestiva il mio locale ha pagato solo metà di un mese di mutuo, dopodiché ha abbassato la saracinesca affiggendo un biglietto ‘Chiuso per inventario’. Vorrei sapere quale inventario dura un anno. Sequestri e confische sono strumenti per combattere il racket e la mafia ma la magistratura deve tutelare le aziende sequestrate o confiscate. Servono imprenditori perbene, puliti, capaci di amministrare e di garantire la funzionalità delle imprese, occorre un vero albo degli amministratori giudiziari, composto da professionisti del settore e non da avvocati». 

«Non so più cosa fare per riavere il mio bar – insiste -, ho anche inviato lo sfratto all’avvocato ma se ne parlerà non prima di gennaio. A causa di questa chiusura rischio di perdere l’autorizzazione amministrativa e quella dei Monopoli di Stato per il tabacchi all’interno. Ho ricevuto tanta solidarietà dai cittadini perché questo bar non è mio ma della borgata, è un punto di riferimento. Ma un po’ tutto il quartiere di Acqua dei Corsari è abbandonato a se stesso – conclude la signora Alaimo -, non interessa a nessuno, tutti parlano ma non succede mai niente. Io però non intendo fermarmi: il parco di Acqua dei Corsari e la discarica del Mammellone saranno la mia prossima battaglia dopo che mi sarò ripresa il bar».

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