Lo scioglimento di Mezzojuso nelle 239 pagine della prefettura «Assenza di controlli antimafia e favori a uomini di Cosa nostra»

Favori diretti e indiretti a Cosa nostra, parentele con esponenti mafiosi che si traducevano in illeciti amministrativi, farneticazioni su blog online per delegittimare chi raccontava una storia diversa dalla propria: c’è questo e molto altro nelle 239 pagine a firma della prefettura di Palermo e che hanno portato al recente scioglimento del Comune di Mezzojuso. A distanza di un mese e mezzo dalla decisione presa dal ministero degli Interni, sul sito della gazzetta ufficiale è possibile conoscerne nel dettaglio le motivazioni. Ed è una lettura che lascia pochi margini ai dubbi. Per la prefettura esistono «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata e su forme di condizionamento degli stessi».

La vicenda delle sorelle Napoli, le tre donne che da ottobre 2014 hanno presentato una trentina di denunce in merito ai danneggiamenti ricevuti attorno alla loro azienda agricola di 90 ettari, ha scoperchiato, oltre un clima sociale intimidatorio, collusioni e omissioni che hanno attirato le luci dei riflettori su un paese di 2900 anime che, come si legge nella relazione della prefettura di Palermo, ha avuto storicamente una mafia locale fortemente caratterizzata da un’estrema vicinanza ai boss corleonesi Totò Riina e, soprattutto, Bernardo Provenzano (che qui trascorse parte della sua latitanza) e allo stesso tempo una vicinanza per così dire geografica col mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno. Tra coloro che da oltre due anni hanno scandagliato il paese, alla ricerca di solidarietà per le sorelle Napoli (in realtà sempre pochissima), c’è la troupe televisiva di La7 e del programma Non è l’Arena, condotto dal giornalista Massimo Giletti.

È dopo la trasmissione di Non è l’Arena del 12 maggio 2019, che si è tenuta nella piazza di Mezzojuso, che la prefettura di Palermo chiede al ministero dell’Interno di poter effettuare una visita ispettiva. Il motivo è la dichiarazione, poi ritrattata, dell’allora sindaco Salvatore Giardina che afferma in quell’occasione di aver partecipato ai funerali del boss locale Nicolò La Barbera (detto don Cola). Insediatasi il 5 giugno, nei successivi tre mesi la commissione prefettizia accede agli atti del Comune ed elabora un corposo dossier che porterà al successivo scioglimento dell’ente amministrativo, stabilito il 12 dicembre. Quello che gli ispettori delineano è un «reticolo di rapporti e collegamenti – tanto più rilevante in un ambito territoriale di ridotte dimensioni demografiche, fortemente compromesso dalla pregiudizievole influenza di associazioni di tipo mafioso – che determina un quadro indiziario significativo da cui si può desumere un oggettivo pericolo di permeabilità ai condizionamenti o alle ingerenze della criminalità organizzata, a fronte del quale si rendono necessarie idonee misure di prevenzione». Fin qui le considerazioni. 

Una delle figure chiave dalle quali partire è certamente quella di Nicolò La Barbera, ritenuto un elemento di spicco della mafia di Mezzojuso, e «la cui autorevolezza si è trasmessa al figlio Simone, detto il lungo, dipendente regionale presso l’istituto zootecnico, confinante con la proprietà delle sorelle Napoli». Nel 2018, tra l’altro, per Simone La Barbera è scattato l’arresto per tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, nell’ambito dell’operazione Cupola 2.0che ha accertato tra le altre cose il tentativo di ricostituzione della commissione provinciale di Cosa nostra. Sono tanti i nomi che ricorrono e si incrociano negli atti del Comune di Mezzojuso, tanto che «sono emerse reiterate anomalie e violazioni di legge, in particolare nel settore degli affidamenti di lavori, servizi e forniture notoriamente esposto agli interessi delle organizzazioni criminali. Più nel dettaglio – si apprende ancora dalla relazione – con riferimento al settore in parola, il prefetto rimarca che solo successivamente all’insediamento della commissione di indagine l’amministrazione comunale ha aderito al protocollo di legalità Carlo Alberto Dalla Chiesa del 12 luglio 2005 e ha iniziato a richiedere le prescritte certificazioni antimafia».

Ma non solo. La commissione contesta alla giunta Giardina, che prima di essere sciolta stava affrontando il secondo mandato consecutivo, anche «la mancata adozione di un sistema di rotazione nell’individuazione delle imprese affidatarie e il frequente, artificioso frazionamento degli interventi nelle procedure di somma urgenza». Contestati soprattutto i lavori di somma urgenza, dopo l’alluvione del novembre 2018, che il Comune ha affidato a imprese non iscritte alla cosiddetta white list, ovvero l’elenco dei fornitori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa nei settori a rischio. A MeridioNews proprio l’ex primo cittadino aveva invece difeso quella scelta, facendo riferimento a un lavoro a suo dire di favore che sarebbe stato compiuto a favore delle sorelle Napoli.

Più in generale la bocciatura dell’intera gestione Giardina da parte della prefettura di Palermo è molto ampia. Anche quando non sembrano esserci collegamenti direttamente con la mafia. «Nel settore urbanistico, poi, le verifiche espletate in sede ispettiva – si legge ancora – hanno disvelato un quadro desolante di generalizzato disordine organizzativo, unitamente a diffuse inefficienze e illegittimità, tra cui gravi carenze nell’attività di accertamento e contrasto dei fenomeni di abusivismo edilizio, la mancata adozione di un registro delle ordinanze di demolizione e delle relative, eventuali inottemperanze, l’omessa pubblicazione all’albo pretorio dei titoli abilitativi concessi dall’ente, il ripetuto accoglimento di istanze di sanatoria in contrasto con le disposizioni vigenti in materia, l’inerzia dell’organo consiliare che non ha emanato alcun atto di indirizzo in ordine ai criteri di acquisizione dei manufatti abusivi al patrimonio comunale». Perfino nel settore delle autorizzazioni commerciali, nonché nelle concessioni di contributi e spazi alle associazioni, «le risultanze dell’accesso hanno messo in luce che l’amministrazione comunale, dal secondo semestre del 2012 e fino all’insediamento della commissione di indagine, non ha avanzato alcuna richiesta di documentazione antimafia». 

E poi c’è il capitolo Gebbia, ovvero la figura del generale dei carabinieri in pensione Nicolò Gebbia. Il grande accusatore delle sorelle Napoli, che ha più volte definito il padre delle donne il «vero capomafia di Mezzojuso» (e che per queste affermazioni è stato querelato dalle tre sorelle), il 31 dicembre 2018 viene nominato assessore alla Cultura e alla Pubblica Istruzione, carica dalla quale si dimette appena sei mesi dopo (il giorno dopo l’arrivo della commissione prefettizia). Gebbia da più di un anno scrive sulla rivista online Themis&Metis, focalizzandosi spesso sulle vicende di Mezzojuso. I suoi scritti vengono ampiamente esaminati dalla commissione prefettizia che sceglie di riportarli nella relazione per dare «la misura di un livore espresso nei riguardi delle istituzioni dello Stato, oltre che dell’informazione, tanto più inconcepibile e grave perché proveniente da un ex ufficiale dell’arma dei carabinieri».

Ce n’è abbastanza secondo la commissione prefettizia, dunque, per chiedere – e ottenere – lo scioglimento del Comune di Mezzojuso e la successiva gestione commissariale, dalla durata di 18 mesi. E, appena resa pubblica, arriva già il commento dell’ex sindaco Salvatore Giardina. «Apprendo con immenso stupore – scrive l’ex primo cittadino su Facebook – che quanto è scritto nella relazione che solo oggi mi viene per la prima volta comunicata e ufficialmente pubblicata era già conosciuto e rivelato nel corso della trasmissione di Giletti del 12 gennaio 2020. Io continuerò ad avere la massima fiducia nelle istituzioni e nello Stato Italiano e mi rivolgerò a tutte le sedi in mia difesa. Leggeremo con molta attenzione i punti contestati e garantisco che riusciremo a smentire le contestazioni e/o accuse che ci sono state mosse. Chiederemo sin da subito a tutte le autorità competenti come sia possibile che una trasmissione televisiva fosse a conoscenza dei contenuti di indagini e provvedimenti che per loro natura e fino alla pubblicazione ufficiale devono rimanere secretati e su cui né io né gli altri amministratori siamo stati mai chiamati ad interloquire. Prometto che solo per verità e giustizia non mi fermerò davanti a nessun ostacolo e sono certo che la storia del nostro territorio un giorno potrà nuovamente emergere».

Andrea Turco

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