È arrivato tra i dieci finalisti, superando la concorrenza di 169 partecipanti, al premio Birra Moretti Grand Cru lo chef palermitano Ciccio Giuliano, 35 anni, che attualmente lavora a Porto Rotondo, in Sardegna. «Ho presentato un mio piatto chiamato la quaglia e la birra, valutato in maniera del tutto anonima così come recitava il regolamento». Il 6 novembre a Milano si disputerà l’ultimo round e verrà resa nota la ricetta che al momento resta segreta, anche se Giuliano ne svela l’essenza: «C’è un forte imprinting siciliano, perché una delle prerogative era quella di essere creativi pur rispecchiando la propria identità». Per lo chef si tratta di una grande soddisfazione, per un risultato affatto scontato. «Scorrendo la lista degli altri partecipanti si vede che dal Sud, oltre me, c’è solo un’altra ragazza di Lecce – racconta -. Poi ci sono nomi di sous-chef affermati e questo mi ha dato la possibilità di confrontarmi ad alti livelli, cosa che mi ha dato un ulteriore stimolo a migliorare».
La scelta della cacciagione per un piatto non si vede spesso in Sicilia. «Ho preferito scegliere di cucinare una quaglia anche perché volevo seguire la stagionalità e sapevo che il piatto doveva essere invernale-autunnale, dato che per regolamento la finale si sarebbe svolta a novembre». La quaglia si caccia in genere da settembre e fine ottobre e il fatto di dovere utilizzare la birra permetteva di giocare sul «contrasto di sapori che in qualche modo potesse ingentilire questo tipo di cacciagione, non prevalente come gusto, molto simile a un galletto». Lo chef attinge alle esperienze che ha vissuto anche all’estero, cercando di interpretarle con occhi contemporanei. «Lavoro in cucina dal 2006, ho trascorso nove mesi a Dusseldorf dove ho avuto la possibilità di apprendere tecniche moderne legate alla cucina internazionale – ripercorre-. Riprodurre fedelmente un piatto di cinquanta anni fa è praticamente impossibile. Cerco di trasferire un’emozione altrettanto dignitosa, rispettando e rimodulando le materie prime con una veste nuova».
«La mia convinzione è che la tradizione esiste dal momento in cui esiste un’azione di innovazione – spiega Giuliano – di fatto si può rendere tradizionale un piatto che non lo è ancora conferendogli un’identità precisa e coerente con il territorio in cui viene sviluppato. La melanzana non è una verdura tipicamente siciliana ma lo è diventata da quando l’hanno introdotta secoli fa. Se questo non fosse accaduto, la caponata di melanzane oggi non sarebbe un piatto tradizionale. Il nostro mestiere è in continua evoluzione e, considerato che il tema del premio era la creatività nell’utilizzo della birra, ho pensato che mettere a sistema la tradizione con l’identità regionale potesse essere una carta vincente. Al momento, questo tentativo è stato apprezzato».
Giuliano ha frequentato il liceo classico ma la sua attività come cuoco è nata mentre frequentava l’università. «Ho scritto la tesi in Lettere, ma mi mancano due esami. Ho tentato anche la strada di Medicina e ho dato una ventina di esami in Farmacia. Nel frattempo, per potermi mantenere agli studi, ho iniziato a lavorare da mio zio, il maestro Giuseppe Giuliano (responsabile comparto nazionale per il comparto pasticceria della federazione nazionale cuochi, ndr). Ho cominciato a pelare patate come tutti e poi, piano piano, ho capito che poteva essere il lavoro della mia vita, come in effetti è stato». Negli ultimi tre anni, Giuliano ha partecipato alle Olimpiadi di cucina e pasticceria con la sua squadra dell’associazione provinciale cuochi. Ha vinto il campionato italiano di cucina calda e fredda come componente del team Palermo, a febbraio scorso, e un bronzo nella categoria singoli per la sezione dessert da ristorazione. Dopo l’esperienza di Porto Rotondo, ora lo chef pensa di tornare a Palermo in autunno: «Il mio desiderio è di potermi esprimere a casa mia – conclude – e mi auguro di poterlo fare presto».
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