di Rossella Catalano
“L’autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo” (Aung San Suu Kyi, politica birmana e premio Nobel per la pace).
Questa citazione riassume in poche righe l’idea di una rivoluzione autentica alla quale un Paese in stato di declino dovrebbe agognare.
Sono trascorsi quarantotto giorni da quando un esercito di elettori “rivoluzionari” ha catapultato in Parlamento una nuova forza politica. Un risultato, quello del 25 febbraio scorso, tanto prevedibile quanto scontato. Del resto, un Paese ridotto in povertà non poteva che reclamare una rivoluzione che restituisse all’Italia una speranza di cambiamento. Peccato, però, che quella che doveva essere una protesta civile e che piaceva tanto agli elettori delusi, sia di centro destra che di centro sinistra, oggi assomiglia più a una protesta incivile.
La storia ci insegna che non si può distruggere il vecchio potere se non si prende in mano il potere e che la forza di uno Stato civile sta nell’unità di unorganizzazione politica e non nella sua frammentarietà. Non basta e non serve, dunque, occupare le aule del parlamento quando il Paese urla alla disperazione e alla fame.
La speranza degli elettori, di tutti gli schieramenti politici, forse era un altra. Era ed è una speranza di cambiamento, di novità e di rottura del vecchio sistema. Quel voto di protesta non intendeva certamente eleggere un gruppo di scolari nostalgici della scuola elementare e del maestro che li bacchetta, ma non si aspettava nemmeno di dover assistere ancora all’estenuante conflitto politico tra un centro destra ancora perplesso e una sinistra che non riesce a far pace neanche con se stessa.
Al popolo italiano non serve un “messia” o un “profeta” che li guidi verso la terra promessa e non serve neppure una classe di “secchioni” chiamati “saggi”.
Di saggi il nostro Paese ne ha già tanti; sono tutti quegli uomini e quelle donne che, nonostante tutto, non si arrendono e con sacrificio, dignità e onore portano avanti un Paese che non li merita; saggi sono tutti quei giovani ai quali è stata tolta la speranza del presente e la prospettiva di un futuro.
Il Paese ha bisogno di una rappresentanza politica che si spogli di ogni velleità personale e guardi all’interesse generale di tutti. L’Italia vuole riappropriarsi di una dignità che l’ha sempre contraddistinta davanti all’Europa e al mondo intero.
Il popolo italiano non vuole essere spettatore silenzioso di una globalizzazione che cresce alla velocità della luce mentre chi dovrebbe governare rimane comodamente seduto in una situazione di stallo, in attesa che la “divina provvidenza” giunga a salvarci.
Stop all’immobilità’ politica, ai contraddittori sterili dei talk show e ai fluttuanti discorsi metaforici fini a se stessi. Urge far cessare gli inutili conflitti politici per ricostruire un Paese che sta precipitando, giorno dopo giorno, e poco importa se per far questo sarà necessario mescolare colori e appartenenze politiche. Che si chiami Pd, Pdl, M5s o chicchessia non importa. Gli italiani parlano una sola lingua e hanno una comunione dintenti; chiedono chiarezza, dialogo e risoluzione di unemergenza che, allo stato attuale, si possono ottenere solo attraverso un accordo tra i partiti.
Che cos’è una rivoluzione se non un tentativo di cambiamento nell’interesse esclusivo di un popolo?
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