L’incubo dei Misuraca arriva alla Commissione antimafia «Una storia sottovalutata. Rischio di essere ammazzato»

«Strincitici i cannarozza, scafazzateci u cirivieddu». Era questa la fine che avrebbe dovuto fare Filippo Misuraca. L’imprenditore di Giardinello, forse ormai scomodo, doveva sparire dalla circolazione, come nella migliore tradizione targata Cosa nostra. Le sue denunce, però, mandano all’aria il progetto di quell’omicidio, di cui resta traccia oggi in quelle intercettazioni da brivido. Sentite prima dai magistrati e, pochi giorni fa, anche dalla Commissione nazionale antimafia. Un’audizione di tre ore, quella di Filippo e di sua moglie Margherita, iniziata alle 12 e terminata alle 15 senza la possibilità di una pausa, di un momento di sosta per i due coniugi. Quasi increduli di trovarsi di fronte a qualcuno finalmente interessato a conoscere la loro storia da incubo. Quella che è cominciata con le denunce delle minacce e delle vessazioni mafiose e proseguita per anni, senza mai trovare una fine. 

«È stata un’audizione molto forte, molto sentita…Lì dentro, a sentire certe cose, sono venuti i brividi a tutti». Senatori e parlamentari della Commissione sono rimasti colpiti dalla storia della famiglia Misuraca, che dopo anni di domande rimaste inevase e la paura costante di subire le ritorsioni della mafia, ha dovuto fare i conti con la solitudine – dopo che amici, parenti e compaesani gli hanno voltato le spalle -, e con i conti presentati a bruciapelo da uno Stato che prima ha adottato delle misure per cercare di tutelarli, ma ha poi presentato loro un conto salatissimo da saldare in teoria entro l’anno. «La mia è una situazione molto grave – ribadisce più volte Filippo -. Dopo la nostra audizione, sono state inviate dalla Commissione delle pec direttamente al Ministero. Noi abbiamo parlato di tutto: dalle minacce ricevute fino ad oggi all’agognata sospensione dei termini con annesse mortificazioni che subiamo quotidianamente da parte di Inps e Inail».

«Solo di recente ho ottenuto la sospensione per bloccare questo maledetto atto di fallimento – spiega ancora -, dopo però che mia moglie ha avuto un mancamento in prefettura e le pressioni della stampa che hanno rilanciato la nostra storia. Mentre aspetto ancora di ottenere il mancato guadagno, senza il quale nonostante tutto mantengo ancora i dipendenti di quel che resta della mia azienda e le loro famiglie». Perché Filippo ha sempre vissuto di lavoro: «Mi arrangio da quando ho 20 anni, nel tempo sono cresciuto, ho fatto la mia strada, la mia esperienza, fino a riuscire a mettere su la Misuraca srl, che prima delle intromissioni di Cosa nostra, delle minacce e dei soprusi, funzionava benissimo». Oltre al terribile racconto di Filippo e Margherita, sul tavolo della Commissione ci sono adesso anche le loro 32 denunce, che raccolgono quanto subito fino a oggi. Intimidazioni che, ancora, malgrado i blitz, gli arresti, i processi e le condanne, non sono ancora finite. 

«Abbiamo fatto nomi e cognomi, come sempre – torna a dire l’imprenditore di Giardinello -. Il mio, di nome, è invece scolpito nelle intercettazioni in cui progettano di uccidermi. Ma è anche in alcuni pizzini, “è un bravo picciotto…” scrivevano di me i boss, gli andavo bene finché se ne approfittavano, commissionandomi lavori che non avevano alcuna intenzione di pagarmi. Ho denunciato personaggi mafiosi locali ma anche uomini d’onore collegati ai potenti Lo Piccolo. Nomi che, dato il loro peso, mi fanno temere che potrebbero ammazzarmi in qualunque momento. Sono convinto che la mia situazione sia stata molto sottovalutata. Specie da quello Stato che non ha saputo proteggerci». Ma che, anzi, sembra quasi essersi preso gioco di lui e della famiglia. «C’è stato un momento in cui, non so ancora né come né perché, risultavo arrestato, cosa che ovviamente non è mai accaduta. Ma intanto questo dettaglio errato sul mio conto ha bloccato delle somme che mi spettavano di diritto in quanto vittima. Una situazione, anche questa, chiarita davanti alla Commissione», racconta.

Dei tanti nomi, denunciati prima ai magistrati e poi ripetuti a gran voce davanti ai componenti della Commissione antimafia, c’è anche quello di qualcuno che è già tornato a piede libero. «Con me hanno scelto tutti il rito abbreviato, solo una volta ho testimoniato in corte d’assise, per un caso di lupara bianca. La mia storia – ripete – è una delle più complesse, mi hanno detto che mi risentiranno ancora, ci sono delle indagini in corso. E soprattutto è il momento di capire perché la mia situazione è stata così sottovalutata e tutte le mie denunce al tavolo del Comitato di sicurezza non sono mai arrivate. Com’è possibile che io non abbia la scorta? Com’è possibile che invece ce l’abbiano quelli che denunciano cose minime, paragonate ai nomi fatti da me? Ripeto, ho 32 denunce dalla mia, oltre ai processi Mandamento 1, 2,3 e AddioPizzo». 

Ma l’invito a presenziare davanti alla Commissione, a Roma, ha piacevolmente sorpreso la famiglia Misuraca, che finalmente ha avuto la percezione che le istituzioni vogliano tornare a occuparsi concretamente del loro caso. «All’inizio, appena ci siamo seduti davanti a tutti quei senatori e parlamentari, c’è sembrato che il loro atteggiamento fosse quasi di diffidenza nei nostri confronti – rivela Filippo -. Si sono sciolti man mano che raccontavamo la nostra storia, è come se avessero avuto per tanto tempo un’idea sbagliata, fuorviata di noi. E che solo in quel momento stessero cominciando a capire chi siamo in realtà. Non so cosa accadrà adesso, ma questo intanto è qualcosa da cui ripartire. Quando io e mia moglie abbiamo finito di parlare si sono alzati tutti in piedi per stringerci la mano o abbracciarci. Mettendoci anche in guardia: “Avete capito cosa rischiate?”, ci hanno detto senza troppi giri, “siete finiti in una ragnatela pericolosissima”. L’incontro però è stato molto positivo e potrebbero essercene degli altri. Io non posso che ringraziare tutti i componenti che si sono presi a cuore la mia storia, finalmente».

Silvia Buffa

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