Ogni organizzazione che si rispetti ha bisogno dei soldati nei posti giusti, a volte i più impensabili. E anche nell’inchiesta su mafia e massoneria tra Licata e Palermo, vengono fuori tre figure – il dipendente di un hotel-ristorante ma considerato dagli inquirenti il vero dominus di quel locale, e due elettrauti – in grado di rendere più facile la vita del sodalizio mafioso.
Si allarga l’inchiesta dei carabinieri del Ros di Palermo, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia. E trascina nella rete anche i due fratelli elettrauti di Licata Marco e Antonino Massaro e Antonino Cusumano, considerato il vero titolare dell’hotel ristorante El Sombrero. Tutti e tre avrebbero avuto stretti contatti con Giovanni Mugnos, arrestato per mafia nel primo filone dell’inchiesta, e considerato il braccio destro del boss Giovanni Lauria, u prufissuri, vertice di Cosa Nostra a Licata e uomo capace di tenere contatti con le famiglie mafiose di mezza Sicilia, soprattutto con quelle di Caltagirone.
A ottobre 2016 Mugnos inizia a parlare della necessità di un cambio della tappezzeria della sua auto. I carabinieri lo ascoltano e si preoccupano perché proprio lì hanno piazzato le cimici per intercettarlo. Bisogna intervenire per rimuoverle. Così, approfittando di un altro intervento che Mugnos deve fare da un elettrauto, lo anticipano, contattano proprio l’elettrauto, Marco Massaro, e concordano con lui l’operazione per spostare le microspie. Massaro assicura massina riservatezza e sicurezza. Ma, con grande sorpresa degli investigatori, l’elettrauto avvisa subito Mugnos, dimostrando anche una notevole confidenza: «Zu Giovà, passi dall’officina?».
Con queste parole lo stesso Mugnos racconta a un altro sodale il momento in cui Massaro gli rivela quanto accaduto: «Minchia stai tremando, e perché stai tremando? Dice… sono arrivati due con una 146… dice… deve venire il signor Mugnos a portare la jeep…» Tutte queste conversazioni spingono il pubblico ministero ad affermare che Massaro aveva la consapevolezza dello «spessore criminale» e degli «scopi illeciti» di Mugnos. Ma il gip non ha confermato l’aggravante mafiosa: secondo il giudice, stando a quanto ricostruito finora, l’elettrauto ha agevolato Mugnos solo per un rapporto personale pregresso.
Stessa cosa per il fratello Antonino Massaro. È lui concretamente a cercare le microspie. E una volta trovate, se la prende con i carabinieri: «Figli di bagascia che siete… figli di puttana che siete». Qualche minuto dopo Massaro informa Mugnos dell’avvenuto ritrovamento: «Il microchip l’ho trovato, ma non la posso toccare! Loro hanno scombinato mezzo mondo. Vabbè, ciao mbare Giovà».
Anche Cusumano ha rapporti sooprattutto con Mugnos. «Appena sei in giro avvicina, ti vieni a prendere il cappuccino prima che finisce il latte». Così parlava l’imprenditore. Per gli inquirenti è il linguaggio in codice usato per mediare e organizzare gli incontri tra mafiosi nel suo locale, garantendo ai membri della famiglia di vedersi con riservatezza. I carabinieri accertano la presenza nel ristorante El Sombrero sia di Mugnos che degli altri indagati Giacomo Casa, Vito Lauria (figlio del capomafia Giovanni) e di Lucio Lutri, il funzionario massone della Regione accusato di essere a servizio del gruppo mafioso. A Cusumano è stata imposta la misura cautelare degli arresti domiciliari.
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