Licata, anche le istituzioni contro i progetti Eni I pescatori: «Non vogliamo fare la fine di Gela»

«Non vogliamo fare la fine di Gela». Licata è distante appena 40 chilometri e il timore di essere «usati e poi abbandonati dall’Eni», come afferma il pescatore Giuseppe Santamaria che parla a nome dell’intera marineria licatese, è forte. Insieme al comitato No Triv, i circa 300 pescatori della città nei giorni scorsi hanno lanciato l’allarme sulle nuove ricerche del cane a sei zampe nel tratto di mare compreso tra Gela e Licata, in merito al progetto offshore ibleo che dovrebbe entrare in funzione a breve. E dopo la partecipata assemblea di venerdì scorso, nella cittadina dell’Agrigentino si registra anche la collaborazione delle istituzioni locali: la commissaria Maria Grazia Brandara e il neodeputato all’Ars Carmelo Pullara

«La sensibilità su questa tema è altissimo – dice Brandara – Oggi pomeriggio ho una riunione con gli uffici per valutare le proposte che ci sono giunte». Sul modello di alcuni Comuni calabresi, i pescatori e gli attivisti hanno infatti elaborato una proposta di ordinanza con la quale si tuteli il porto di Licata, vietando tutte le attività connesse che impediscano di raggiungerlo. «Ho chiesto alla segreteria del presidente Musumeci un incontro – continua la commissaria – per mettere sul tappeto alcune tematiche della città, prima tra tutte la questione delle trivellazioni. Non ci può essere lavoro senza salute, questo tipo di baratti non possiamo accettarli. C’è da considerare anche il lavoro della marineria licatese e il fatto che il mare di Licata sia ancora ricchissimo di reperti archeologici da scoprire». 

E mentre i pescatori si dedicano alla raccolta delle firme per sensibilizzare l’intera popolazione, c’è chi pensa a una nuova manifestazione, dopo quella che a gennaio 2016 portò in strada oltre mille persone. «Sono coinvolte 300 famiglie», dice ancora Santamaria che lavora in mare da 50 anni e che porta avanti la tradizione di famiglia. «Poi c’è l’indotto, che va dai commercianti alla cantieristica. Due mesi fa non si poteva lavorare, la nave dell’Eni venne a smuovere il fondo marino e procurò tanti danni a noi e al settore. Furono costretti a riconoscere il danno. Ma noi i loro soldi non li vogliamo, noi pescatori di Licata vogliamo solo lavorare e vogliamo il nostro mare intatto». 

Per un mese e mezzo la nave è rimasta parcheggiata nel porto. Poi la ripresa delle operazioni: rilevazioni fotografiche per accertare lo stato dei pozzi sottomarini. «Non ci hanno neanche coinvolto – denuncia ancora Santamaria -. Così non si può lavorare: già abbiamo il divieto di avvicinarci alla piattaforma (la Prezioso ndr), ora anche alla nave e poi se si dovesse realizzare il progetto il divieto si estenderebbe anche alle condutture sotterranee (per portare il gas estratto a terra, negli impianti al momento inattivi di Gela ndr). Il settore è già in crisi e si deve considerare che i lavori dell’Eni (due anni è il tempo di realizzazione previsto) smuoverebbero il fondo fangoso, rischiando di bloccare la pesca per sei-sette anni. Vorrebbe dire uccidere un’intera economia e la nostra storia».

Andrea Turco

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