Il volto dell’accoglienza catanese ha le lenti spesse e i capelli raccolti in una treccia di Rebecca, 12 anni, e una voglia matta di regalare i suoi giocattoli a Ivana, che viene dall’Eritrea, di anni ne ha molti di meno e da stamattina è ospite al PalaNitta di Librino. Le loro mani si incrociano tra le sbarre della ringhiera che divide l’impianto sportivo, trasformato in alloggio per i migranti, dal cortile del palazzone dove Rebecca vive insieme al resto della sua famiglia. Ivana è arrivata stanotte al porto di Catania insieme ad altre 259 persone provenienti dal Corno d’Africa. Ha viaggiato insieme al fratello appena più grande di lei, Sened, e alla sorella maggiore, Rodas, 12 anni. La loro mamma è una dei sei feriti ricoverati negli ospedali della città a causa di fratture alle braccia.
La prefettura aveva avanzato l’ipotesi che i traumi fossero conseguenza delle operazioni di trasbordo dalla precaria imbarcazione su cui hanno attraversato il Mediterraneo al mercantile che li ha portati in salvo. Ma non è così. A raccontare come sono andate le cose è Abel, 24 anni, eritreo, uno dei pochi che non è scappato via subito, ma è rimasto al PalaNitta, «anche se – precisa – pure io vorrei andare via dall’Italia, solo che non ho più soldi per proseguire il viaggio. Abel frequentava Agronomia all’università e vorrebbe finire i suoi studi in un altro Paese di lingua angolofona. «Perché l’inglese già lo parlo – spiega – se dovessi imparare l’italiano impiegherei troppo tempo». E’ lui a ricostruire il lungo viaggio e i motivi delle fratture. «E’ successo mentre attraversavamo il deserto del Sahara – racconta – ci hanno costretto a salire in gruppi da 30 sui pick-up, picchiandoci con dei bastoni. Uno dei mezzi ha avuto un incidente a causa della velocità elevata e molti si sono fatti male». Una traversata estenuante costata in totale 3mila 200 euro ad ogni migrante. Soldi divisi in due rate: 1.600 per arrivare fino in Libia e altrettanti per giungere in Sicilia.
La maggior parte degli ultimi arrivati sono andati via durante la mattina. Ma il PalaNitta rimane pieno di migranti, soprattutto dell’Africa subsahariana: come Nigeria e Guinea. Sono ancora in centinaia e aspettano di essere trasferiti nei centri per richiedenti asilo. E’ a loro che gli inquilini dei palazzi di viale Nitta che si affacciano sul palazzetto sportivo portano vestiti, cibo e giocattoli. In prima fila c’è anche Mario, il padre di Rebecca. Scende con una busta piena, distribuisce regali e si informa se è possibile portare anche dei biscotti. «Perché – dice – loro sono come noi».
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